All’inizio degli anni Sessanta, anche a Napoli, una delle più belle città del mondo, si progettò un quartiere con le cosiddette “vele”, un’innovazione architettonica che si poteva vedere, in tutto il suo splendore, sulla strada che in Francia da Nizza porta ad Antibes costeggiando il mare. Esistono ancora, in ottima condizione, quelle “vele” sul corridoio della Costa Azzurra che porta ad Antibes, ma a Scampia, quartiere a nord di Napoli con circa 40 mila abitanti, le altre “vele” sono diventate con il tempo il simbolo di un degrado non solo architettonico e urbanistico, ma soprattutto umano.
Eppure, quando si descrivono anche le zone più sfortunate e più rischiose del nostro Mezzogiorno si generalizza facilmente e non si considera che ci sono gli esempi contrari al degrado e che anche in quei posti può nascere la speranza dall’esempio di tanti uomini che ci vivono. A questo punto diventa inevitabile domandarsi: ma Scampia è proprio solo Gomorra? È solo zona di clan, di violenza, di prostituzione, di spaccio di droga, di ogni tipo di illegalità esportata in tutto il mondo all’ombra della camorra? No, non è così, quando si ascolta la storia, la testimonianza raccontata da Gianni Maddaloni, padre di Pino (campione olimpico a Sidney nello judo), di Marco (due volte campione europeo under 23) e di Laura (13 volte campionessa italiana).
Gianni Maddaloni ha raccontato la sua storia mercoledì 27 febbraio a “Portofranco”, un posto al centro di Milano, dove centinaia di insegnanti aiutano gratuitamente migliaia di giovani che incontrano difficoltà a scuola. E sono studenti di età differenti e soprattutto di qualsiasi etnia. Una “perla”, un “luogo magico”, in questi tempi dove l’immigrazione viene scambiata per “invasione”.
Gianni Maddaloni ripeterà la sua testimonianza al Meeting di Rimini di quest’anno. È una storia che sembra semplice e, come tutti i racconti chiari e normali, diventa un esempio di vita che ti lasciano senza fiato, in questo mondo schematico ma allo stesso tempo barocco nel linguaggio. Un mondo, tra l’altro, segnato da solitudini personali e da divisioni laceranti.
A sedici anni, a Gianni Maddaloni muore il padre. Gianni è costretto a diventare l’uomo di famiglia: scuola di mattina e lavoro al pomeriggio, per aiutare tanti fratelli e sua madre. Gianni Maddaloni è figlio di un pugile di Marcianise ed è affascinato da quella che gli inglesi hanno ribattezzato la “noble art”. È una passione che coltiva e non abbandonerà mai. Ma sotto casa, dove abita, c’è una palestra con un bravo maestro di judo e Gianni comincia a impegnarsi in questa disciplina.
Allenamenti durissimi e subito una grande vocazione a curare e tirare su i giovani. In una simile realtà è quasi una vocazione e soprattutto, per i ragazzi, un’àncora di salvataggio. Agli inizi degli anni Novanta, nel centro di Scampia, Gianni Maddaloni fonda una palestra aperta a tutti: sia a chi intraprende la carriera agonistica, sia a chi con il judo vuole trovare una speranza, un respiro d’aria fresca nella difficile vita quotidiana.
Solo questo rappresenta già una storia bellissima e affascinante di vita che rinasce e che meriterebbe di essere al centro dell’attenzione di tutti, perché si comprende che non c’è nulla che può fermare un uomo animato dal desiderio di fare del bene a tutti. Ma la cronaca e le storie colte riportano solo analisi negative sulla realtà di Scampia, che non tengono mai conto di esperienze come quelle di Gianni. In questo modo quelle analisi sono inficiate da gravissime omissioni, fanno parte di una pseudo-ideologia interessata a dimostrare che alcune cose non esistono e quindi non vanno neppure menzionate, non solo raccontate.
In realtà, la vera storia sembra quasi una bellissima fiaba. Gianni Maddaloni comincia ad allenare i suoi figli e il primo, Pino, arriva prestissimo ai vertici internazionali. Gianni è anche cosciente che una disciplina come il judo, come lo stesso pugilato, può essere rovinato da giudici corrotti, a volte palesemente di parte, come sa bene Clemente Russo, marito di Laura, figlia di Gianni, letteralmente derubato del titolo olimpico dopo aver vinto nettamente la finale.
Il figlio Pino è stato più volte sconfitto per discutibili decisioni dei giudici. Ma invece di demoralizzarsi ha chiesto al padre di allenarlo di più, di migliorarlo per vincere con ancora più chiarezza. Grazie alla lungimiranza di un personaggio come Sandro Gamba, Gianni Maddaloni può stare al fianco di suo figlio. Pino vince alle Olimpiadi di Sidney tutte le gare per “ippon”, il ko del judo, sottraendosi in questo modo a ogni giudizio viziato.
Dice con grande semplicità Marco: Pino, a un minuto dalla fine della semifinale, stava perdendo. Ho messo le statuette di Padre Pio e della Madonna sul televisore e subito ha fatto un “ippon”. Coincidenza? Certo non sono una coincidenza i miracoli che avvengono nella palestra di Scampia: centinaia di giovani che pagando poco o nulla scoprono che cosa vuole dire la passione, il sacrificio, la disciplina, il lavoro, la speranza misurandosi sul “tatami” e uscendo almeno un po’ diversi per affrontare la vita normale.
Per questo, tutti rispettano questo luogo e nessuno minaccia Gianni Maddaloni. Per questa ragione non mancano i benefattori che vogliono con disinteresse che questa esperienza continui. Oggi, ai potenti e ai politici, il figlio di Gianni, Pino, suggerisce: aiutate la gente, fate in modo che luoghi come questi crescano e si moltiplichino.
Diceva in un film un maestro di arti marziali, che dirigeva la sua palestra in un ambiente simile a quello di Scampia: “C’è sempre una via d’uscita” per chi non ceda al male o diventi famoso semplicemente analizzandolo.