Il governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha annunciato nei giorni scorsi che “il pubblico deve tornare ad avere un ruolo centrale nella sanità”. Un quotidiano economico come il Sole 24 Ore ha parlato apertamente di “smantellamento di centri di potere che fino a pochi anni fa venivano identificati con il governatore di centrodestra Roberto Formigoni e con Comunione e liberazione”.
Quasi nelle stesse ore, il segretario della Cdu, Annagret Kramp-Karrenbauer, ha inviato una lettera aperta ai cittadini-europei, pubblicata anche dai media italiani. “AKK” – designata alla successione del cancelliere tedesco Angela Merkel – ha voluto rispondere al progetto di riforma neo-tecnocratica della Ue rilanciato dal presidente francese Emmanuel Macron, premuto anche in Francia dalle ondate neo-populiste. Ma la leader cristiano-democratica ha voluto ribadire i cardini di una delle grandi culture politiche dell’Europa contemporanea: quella che il prossimo 26 maggio sarà riproposta dal Ppe. Ha voluto riaffermare che gli antagonismi contro-europei non vanno affrontati con chiusure eguali e contrarie, ma tenendo il campo con le proposte politiche più alte e attive.
Ebbene, il cuore della replica a Macron – e quindi del “manifesto Ppe 2019” – è il rifiuto esplicito di progetti di riforma dell’Unione che puntino in direzione di un maggior “centralismo/statalismo”, nei campi più svariati: dalla finanza, alla sicurezza, dallo sviluppo tecnologico al welfare. Per vincere la “sfida di un nuovo benessere” – ha scritto Kramp-Karrenbauer – ”l’Europa deve puntare sulla sussidiarietà”, senza cedere alla tentazione di creare alcun “super-Stato” europeo.
Se c’è un macro-caso simbolico in Europa di realizzazione di successo del principio di sussidiarietà, questo è il modello-Lombardia di Roberto Formigoni: vicepresidente del Parlamento europeo per il Ppe prima di essere democraticamente eletto per quattro volte governatore della maggior regione italiana. Se c’è un caso di affermazione compiuta della sussidiarietà – un’esperienza che già nel 2001 ha fatto da matrice a una rara riforma della Costituzione italiana – questa è la Lombardia dal 1995 al 2013. Qui il decentramento amministrativo “verticale” previsto dalla Carta italiana è divenuto totalmente operante: soluzione alla crisi del welfare statalista; alternativa reale al federalismo demagogico; segno di contraddizione rispetto all’ultra-liberismo egemone. Nella Lombardia italiana/europea – con la riforma sanitaria al centro – ha preso forma compiuta anche la sussidarietà più sfidante e ambiziosa: quella “orizzontale” che non cancella il “pubblico”, ma lo mantiene e lo promuove attraverso la concorrenza-cooperazione con il “privato”.
Che il nuovo presidente leghista della Lombardia dichiari la necessità di migliorare il pubblico non è contro il sistema misto: va nella stessa logica del sistema Formigoni, che ha migliorato pubblico e privato . Prendere invece a pretesto questa dichiarazione per rilanciare lo statalismo e proclamare una sua avversione politica e strategica verso “la sanità lombarda di Formigoni” è segno di scarsa conoscenza della realtà, di preclusioni ideologiche e preconcette e di mediocre giornalismo.
Chi scrive queste cose dovrebbe documentarsi per scoprire che la futura leader dei cristiano-democratici europei – e probabile premier del Paese più grande dell’Unione – dica invece che dalla sussidiarietà indietro non si torna: che nessuna forma di “centralismo statalista” può più aver cittadinanza nell’Europa del XXI secolo. L’ha già avuta nel XX, soprattutto nella prima metà: quella dei sovranismi dittatoriali. E non ha prodotto alcun “benessere”. Solo distruzione.