Era dall’inverno del 2002, da quando il movimento “no global” cambiò pelle e si saldò con le proteste antigovernative nazionali di quella stagione, individuando nella richiesta di “pace” il proprio obiettivo politico, che i ragazzi non scendevano in piazza così copiosi, così poco inquadrati da partiti, movimenti e associazioni, così liberi.
Allora c’erano le bandiere arcobaleno, gli slogan contro l’America di Bush che all’indomani dell’11 settembre metteva a ferro e fuoco prima l’Afghanistan e poi l’Iraq, e c’era la vecchia contrapposizione tra destra e sinistra, tra repubblicani/conservatori e democratici/progressisti, al punto che molte rivendicazioni di quel periodo ricordavano quelle del ’68, in un contesto di “lotta al sistema” che appiattiva i manifestanti sul crinale post-ideologico dei movimenti marxisti.
Oggi, a quindici anni di distanza, le cose sono molto diverse: è da più di un decennio che i ragazzi hanno ricominciato a occuparsi di riforme di un ministro piuttosto che di un altro, di caloriferi, di esami di maturità… i movimenti marxisti propriamente detti sono stati superati dalla storia e un contesto mondiale radicalmente nuovo si impone agli occhi anche del più navigato osservatore.
Eppure loro, i ragazzi, sono rispuntati. Con i loro striscioni, le loro bandiere, con una voglia di esserci che non può lasciare indifferente. Quando accade che in una gita scolastica il momento dello shopping (e quale momento è più sacro per un millennial suggestionato dagli influencers della vulgata comune?) viene sacrificato dai ragazzi per unirsi a coetanei di altre nazionalità e andare a manifestare silenziosamente per un mondo che “così non va”, allora vuol dire che si muove qualcosa, che accade qualcosa. E stupisce vedere come gli adulti, esattamente come quindici anni fa, si affannino a spiegare a quei ragazzi che la loro causa è stupida, frutto di politiche manipolatorie e cospiratrici, utile disimpegno per chi non ha voglia di studiare.
Stupisce perché nessuno vorrebbe che il proprio desiderio, qualunque desiderio, fosse trattato così. Ma, in fondo, simili reazioni ci portano al cuore della crisi dell’adulto di oggi che, reagendo in questi termini un po’ saccenti, si perde il meglio di quanto sta accadendo e finisce in un cul-de-sac dal quale difficilmente riesce ad uscire, se non con cento-duecento convegni sulla crisi dell’adulto, in un eterno parlare di se stessi che non riesce a mettere al centro loro, i ragazzi, coloro che ci sono e che ci interpellano.
Allora, consentitemi, prima di dire altre cose su questi ragazzi, mi appello a voi perché vi fermiate, restiate un istante in silenzio e proviate a fare queste semplici cose: lasciatevi stupire dal fatto che questi ragazzi desiderino ancora qualcosa, stupitevi senza sindacare sul “che cosa” desiderino, stupitevi del fatto che il desiderio c’è ancora, che voi li davate per morti e invece sono ancora lì, vivi, fuori dalla grotta in cui li avevamo persi.
Dopo esservi stupiti di questo provate a non correggere il loro desiderio, provate a non giudicarlo, a lasciargli spazio, a lasciare a quel desiderio il beneficio del dubbio che esso sia simile a qualcuno dei vostri vecchi desideri, anche se sembra molto più incasinato, molto più disordinato: non vi curate della manicure dei desideri, ma lasciateli desiderare.
E poi, qui viene il punto più difficile, smettetela di raccontare loro di come potranno essere manipolati o sconfitti, ma raccontate come voi siete stati manipolati o sconfitti. Un tempo gli uomini si riunivano attorno al fuoco per raccontare imprese epiche di eroi: noi oggi abbiamo bisogno di una generazione di adulti che restituisca ai ragazzi la possibilità – la bellezza! – della sconfitta, dell’errore, di quando anche noi siamo stati raggirati e abbiamo dovuto rialzarci.
Permettete che il ragazzo sceso in piazza incontri il ragazzo che è dentro di voi, fate sì che si parlino, che si appartino, che piangano insieme, che sperino, che preghino, che ritornino a sentirsi fratelli. Permettete a questi ragazzi di guarire le vostre ferite antiche, non lasciate che il dolore che da allora provate diventi violenza che opprime e soffoca questo loro moto di libertà, di ribellione, di vita, che – a discapito di tutto e tutti – c’è ancora e che voi conoscete così bene. Perché l’avete vissuto. E forse l’avete anche pagato molto caro.
Infine, se siete arrivati a questo punto e vi interessa ancora incontrare quei ragazzi, ricordate loro che la vita porta sempre con sé un’illusione: che le grandi guerre, che le grandi battaglie, siano in campo aperto o nelle stanze del potere. Mentre invece voi avete capito che la grande guerra è dentro di voi, è dentro il cuore e l’anima di ciascuno di noi. In tanti manifestavano per la pace quindici anni fa: ma chi ha trovato pace al proprio cuore? Non è che il nostro mondo è in guerra perché c’è ancora guerra dentro di noi? Oggi in tanti si alzano per custodire la terra, per proteggerla, ma chi si alzerà domattina per proteggere e custodire la meravigliosa terra che ci è stata affidata e che è dentro ciascuno di noi, minacciata dalla droga, dallo sballo, da un desiderio di morte che fa sciogliere i ghiacciai e riempie il nostro cuore di plastica, di spazzatura? Di che cosa hanno bisogno quei ragazzi, secondo voi? Di sentire ancora una volta che stanno sbagliando o di qualcuno che finalmente li prenda sul serio? Ai posteri l’ardua sentenza.