E’ Uomo terra-terra il Cristo dei Vangeli. Non potrebbe essere altrimenti dal momento che, come spesso rammenta papa Francesco, quando la teoria non riesce ad attecchire nella concretezza non è la storia ad essere erronea ma il nostro sguardo su di essa ad essere fallace. Pane al pane, vino al vino: “Non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia da un rovo”. Che, nella logica di Cristo, vale quanto un incoraggiamento: raccoglierai ciò che semini, ognuno sarà ciò che avrà sognato d’essere. Zero improvvisazioni: nessuno s’aspetti, se ha seminato rovi, di raccogliere dell’uva. Manco fichi, se nella vita sua non ha fatto altro che seminare spine.

Ad ognuno il suo: ecco cos’è giusto per il Cristo. Che, in quanto a vita, è di una concretezza impareggiabile, una lama di fioretto a limare la pelle: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?” Tradotto: il successo di una vita dipenderà dai maestri che ciascuno di noi si sarà scelti come compagni di viaggio. Di maestri, sulla piazza, ce ne sono tanti. Di tutti i tipi: “C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli, passo passo (…) – scrive Danilo Dolci –. C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo (…) C’è pure chi educa senza nascondere l’assurdo che c’è nel mondo, sognando gli altri come ora non sono (…): ciascuno cresce solo se sognato”. Maestri d’autore, artigiani della vita: possono guardare per diecimila volte consecutive lo stesso pezzetto di terra, per diecimila volte saranno capaci di coglierci una sfumatura diversa. Una parte dell’infinito che esso contiene.

Il maestro è un uomo di trave e pagliuzza: è nato per insegnare a togliere le travi a casa sua e, così facendo, diventare esperto nel togliere la pagliuzza in casa altrui, senza per questo apparire saccente o anticipatamente santo. Il male altrui è sempre appariscente: ciò che teniamo lontano dall’occhio è sempre più visibile di ciò che custodiamo nelle pupille dei nostri occhi. Ho letto un giorno un passaggio bellissimo: “Quasi mai mi ha colto di sorpresa il male altrui: quasi sempre ho scoperto che qualcosa di quel male, per quanto terribile, era anche dentro di me”. Non è piacevole scoprirlo, ma alla fine può risultare di un’utilità inaspettata: “Ti aiuta a comprendere e a mostrarti solidale nei confronti delle mancanze altrui e, sopratutto, ad essere un po’ più indulgente con te stesso quando scopri le tue” (P. D’Ors, Entusiasmo).

Il cristianesimo, forse, è tutto qui: aprire un cantiere dentro se stessi perché, lavorandoci, lavoriamo il mondo. Ma per lavorarlo, il mondo mi deve interessare, e io mi devo interessare del mondo: se l’altro non m’interessa, è impossibile aiutarlo. Il miglior terreno per rendere il mondo più umano è l’amicizia. La salvezza è amicizia: nessuno si salva da solo.

Piedi a terra, si parte da zero: “Un discepolo non è da più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro (cfr Lc 6,39-45). Lo diceva Socrate che l’insegnante mediocre racconta, quello bravo spiega, quello eccellente è colui che dimostra. Ma il vero maestro è colui che ispira. Cosa dovrebbe fare un educatore se non ricordarci l’infinito che teniamo rattrappito dentro di noi e fare di tutto per risvegliarlo a noi stessi? Il Vangelo mette al bando i supplenti: “Mi ha fregato il fatto che invece del maestro avevo avuto un supplente” ha scritto una ragazza nel tema della sua maturità. Il supplente non è il maestro. Fortunato chi, senza meriti né crediti, camminerà accanto ad un maestro che sia tale, che lo sogni come ora non è: “Ciascuno cresce solo se sognato”. Così facendo, le travi si illumineranno e le pagliuzze, tolte, avranno il profumo dell’amore.

Morirà in croce l’Uomo che dettò queste immagini: tutti ridono del matto in piazza, purché non sia della loro razza. Morirà a testa in su, per mano di uomini con la testa in giù. Non sforzò nessuno a seguire le sue orme controvoglia: ciò che lasciò scritto, senza scrivere, fu di continuare a guardare come Lui guardò.