Aveva come sempre ragione Hegel, quando descriveva nella sua Fenomenologia dello spirito il passaggio dalla sensazione alla superiore esperienza conoscitiva. Vecchi studi filosofici possono forse aiutare, anche oggi, a comprendere quello che è nato, tra La casta e la “Giornata mondiale del vaffanculo”, sugli insegnamenti “tant al toc” acquisiti dalla famiglia Casaleggio su Jean Jacques Rousseau e propagandati in spettacoli involontariamente comici dal guitto di turno.

Con una coincidenza inquietante, il terzo attacco alla democrazia in Italia nel giro di 40 anni, la nuova demonizzazione della “politica sempre corrotta”, mentre tanti altri facevano affari e si profilava davanti agli occhi una crisi finanziaria mondiale, arriva nel 2007, unendo in una simbiosi pateticamente poetica Luca Cordero di Montezemolo, molti editorialisti di via Solferino, Beppe Grillo e la sua compagnia di apprendisti spaesati. Adesso tutti si rimangiano quella partecipazione corale all’ammucchiata del menga, perché era senza alcun progetto politico e scoordinata, fatta solo per liquidare definitivamente e opportunisticamente la politica e quello che rimaneva della dialettica democratica di un tempo.

In quel tempo si dichiaravano tutti “puri”, “puliti”, “dediti al bene comune” e integerrimi, intransigenti nella gestione del denaro pubblico e soprattutto degli affari di Stato. In questi anni ci sono state diverse e strane avvisaglie, ma nella “Giornata della festa del papà” è stato infranto l’ultimo sogno di immacolata pulizia ed è stato associato al carcere Marcello De Vito, presidente dell’assemblea capitolina, anima radicale del Movimento 5 Stelle, che preferiva la dura Roberta Lombardi alla più morbida e aerea Virginia Raggi.

Il “radicalgrillino” è stato accusato di corruzione e traffico di influenze illecite nell’affare del nuovo stadio di Roma. In pratica, avrebbe (udite, udite!) preso tangenti, quattrini, dobloni, insomma volgari euro dal Gruppo Parnasi di Luca Parnasi. Il gip non ha avuto tentennamenti, confermando l’accusa e le proposte dei pm, sostenendo che “De Vito era a disposizione di Parnasi”.

Immediata è stata la reazione all’interno stesso del M5s. Luigi Di Maio, grande garantista alla rovescia, ha subito dichiarato: “Marcello Di Vito è fuori dal Movimento 5 Stelle. Mi assumo io la responsabilità di questa decisione”. Ma anche Virginia Raggi, che di professione fa l’avvocato, si è allineata sulla innovativa, per le democrazie occidentali, teoria della “certezza della pena” e della “presunzione di colpevolezza”. Dice Virginia, sindaco di una città che sta andando in rovina tra le immondizie: “Nessuno sconto a chi ha sbagliato, non c’è spazio per le ambiguità”.

Persino Stalin e Beria si affidavano, in genere, a Vjsinskij per imbastire un processo farsa e per formulare poi accusa e condanna. Qui si arriva alle conclusioni nel giro di poche ore. De Vito, dalla sera alla mattina, è diventato da pentastellato doc legato alla purezza dei fondatori, una specie di bandito politico.

Con tutta probabilità, nel Circo Barnum dell’attuale politica italiana, è possibile che anche la “teoria dell’innamoramento” di Francesco Alberoni vada in pezzi. I continui cambiamenti di umore e di opinione degli elettori italiani sparigliano tutti i sondaggi e le previsioni e quindi anche gli innamoramenti nelle sue varie fasi, fino alla disillusione. Però, nel magma caotico di questi tempi, può anche darsi che i grillini escano dalla palude in cui oggi si trovano per la perdita di consenso e riacquistino peso.

Ma un fatto è certo: la politica è completamente evaporata, non esiste più, e il dibattito, ridotto a una battaglia paracomica tra onesti e disonesti, dimentica o fa dimenticare i grandi problemi del Paese, con i consueti numeri e l’identica contabilità da più di 25 anni che segna il declino italiano.

Quello che stupisce è che, mentre si dibatte oggi sul caso De Vito, come prima su altri, nessuno mediti su alcuni fatti che sono storici e in parte nascosti con la consueta mancanza di memoria italica. Se si prende il periodo che va dal 1946 al primo semestre del 1992, il Pil è stato moltiplicato per quindici e il Pil pro capite per dieci, nonostante due shock petroliferi negli anni Settanta, un periodo di stagflazione, quindi di inflazione a due cifre con il mondo diviso in due blocchi contrapposti.

Finito quel periodo, l’ultimo governo di Giuliano Amato, che si dimette nel giugno 2001, ha uno squilibrio, in dieci anni, tra Pil e debito pubblico che a volte sbanda di 15 punti percentuali e malgrado privatizzazioni, fisco sempre più esoso (massimo in Europa), ricavi da privatizzazioni (170mila miliardi di lire, escluso quella di Telecom), taglio della spesa sociale, il debito continua a crescere, fino poi a esplodere letteralmente con la crisi globale del 2008.

Ma di tutto questo non se ne è accorto nessuno in questi anni? Che cosa facevano i grandi analisti? Erano andati su Marte, dormivano, oppure facevano il pesce in barile? Forse era più comodo dedicarsi alle prediche, rifarsi alle “questioni morali” e al grido “onestà” per nascondere quello che realmente accadeva, con un impoverimento e quasi un azzeramento della classe media, unito alla crescita della disoccupazione, a differenze sociali di carattere feudale e al dominio assoluto della finanza, non solo sulla politica, ma anche sulla stessa economia reale.

E’ quasi inutile rispolverare vecchi proverbi come “chi la fa l’aspetti”, oppure “chi di spada ferisce di spada perisce”, o ancora rifarsi al vecchio aforisma di Pietro Nenni: “In questione di purezza, ricordatevi che c’è sempre uno più puro che poi vi epura”. In questo caso siamo ancora nell’ambito di una vita politica accettabile. Ma oggi, con gli avvenimenti che accadono nel M5s, con le cadute di stile, siamo più o meno ai vecchi bar di periferia, quando si giocava a “briscola chiamata” e il socio nascosto schiacciava il piede di nascosto sotto il tavolo al socio occulto di inizio partita…

C’erano tutte queste sensazioni già all’apparire del M5s, adesso, direbbe Hegel, con l’affare De Vito c’è la superiore esperienza conoscitiva. Non è una consolazione, ma solo un’esposizione di fenomenologia sulla povertà del sistema politico italiano di questi tempi. Forse non fa più nemmeno notizia che al suo interno il M5s scalpiti e si divida in indignati, irriducibili e governativi a oltranza.