L’autonomia differenziata può essere una grande opportunità di sviluppo per l’intero sistema-Paese e come tale non merita di essere mandata allo sbaraglio come il più recente tentativo di riforma istituzionale. Né può finire bloccata da veti para-ideologici come il cantiere Tav. Meno che mai essere ridotta a talk show spicciolo. Il workshop organizzato sabato scorso a Milano dall’Intergruppo per la Sussidiarietà puntava a fissare – meglio: a ri-fissare – una linea condivisa di confronto su un vero dossier-Paese. E l’obiettivo è stato raggiunto.
È stato nella sede del Sole 24 Ore, al termine del seminario promosso da Fondazione per la Sussidiarietà e PwC, che il sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti ha detto che “l’autonomia differenziata va fatta bene, siamo disposti ad aspettare perché venga fatta bene”. Assieme ai discussant (il capogruppo di Fi alla Camera, Maria Stella Gelmini, il presidente dei senatori della Lega, Massimiliano Romeo, oltre al presidente di Pwc Italia Andrea Toselli e al leader degli industriali di Napoli, Vito Grassi) hanno risposto all’invito di Maurizio Lupi, presidente dell’Intergruppo. Che ha messo sul tappeto un’agenda in quattro punti. Quattro domande finora senza risposte convincenti. Un “compito a casa” che Giorgetti – e gli altri parlamentari presenti – si è impegnato a portare a Roma.
La prima questione – e forse più importante – è questa. L’Italia è un Paese unito da più di un secolo e mezzo, ma continua ad attraversare la storia allungato fra la Mitteleuropa e il centro del Mediterraneo. Come utilizzare l’autonomia differenziata per costruire una nuova unità-Paese, consentendo a tutte le aree partecipanti di valorizzare la loro specificità? “Tre regioni vogliono tenersi le tasse pagate dai loro residenti e spenderle come vogliono” non è e non potrà mai essere una risposta: né politica, né costituzionale, tanto meno socio-economica.
Un secondo tema è collegato: fra Regioni a diversa combinazione efficienza-efficacia è possibile attivare dinamiche nuove di competizione sussidiaria? Anche in questo caso chiudere i ragionamenti ai decimali dei costi standard – così simili ai rigidi parametri della discordia Ue – vuol dire eludere il tema di fondo: l’autonomia differenziata dovrà essere stimolo per tutti a crescere, non separazione contabile fra regioni “buone” e “cattive”.
Un terzo tema può sembrare fuori luogo a quasi 50 anni dal primo voto regionale e a quasi venti dalla riforma dell’articolo 118 della Carta. Chi fa cosa nell’Italia delle Regioni in Europa? Le migrazioni interne alla ricerca della migliore “sanità regionale” dicono che neppure l’unica competenza strutturalmente decentrata dallo Stato è una storia di successo, anzi. L’istruzione è invece una storia largamente incompiuta: giocata ancora troppo sulla scuola pubblica e troppo poco sulla ricchezza di iniziative – ad esempio le nuove reti degli Its – che sta rivoluzionando l’ecosistema dell’education. Ma su quanti versanti strategici l’autonomia differenziata può essere utilizzata per “riformare” davvero l’Azienda-Italia: l’Expo di Milano e stato il progetto e il successo di una sola Città Metropolitana oppure di una sola Regione, di un gruppo di Regioni o di un intero Paese? Una Tav che richiama in Italia il presidente cinese può essere sequestrata dal confronto politico di una sola regione ad autonomia ordinaria, differenziata, speciale?
La sussidiarietà – orizzontale e verticale – resta la grande “convitata di pietra” al tavolo dell’autonomia differenziata: che non può ridisegnare in chiave feudale la società italiana aggiungendo rischi di decrescita. Fra amministrazione centrale ed enti locali la partita dell’autonomia non si può risolvere in una resa dei conti burocratica. L’hardware istituzionale e amministrativo non può funzionare senza il software dei corpi intermedi tradizionali e innovativi che aggiornano in tempo reali meriti, bisogni e compiti.