Le risposte sbagliate in politica possono diventare anche peggiori di scelte non adeguate. L’architettura istituzionale dell’Unione Europea non è certamente un esempio di funzionalità. E’ evidente che un Consiglio europeo fatto dai capi di Stato e di Governo comporta solamente procedure decisionali lente, con risultati compromissori tra molte tendenze, dove alla fine prevalgono gli interessi dei Paesi leader.
Secondo un altro aspetto, la Commissione europea è difficilmente paragonabile a un governo definito, in grado di esprimere una politica o scelte politiche dopo un serio confronto. Alla fine, si trasforma in un organo di verifica, spesso burocratico e talvolta fastidioso, non sempre oggettivo, sui vincoli concordati dai paesi membri.
Aggiungiamo un breve giudizio sulla Banca centrale europea: può finanziare le banche ma non gli Stati, non ha un organo politico di riferimento come gli Stati nazionali, si destreggia in equilibri interpretativi del suo mandato. Abbiamo fatto solo tre esempi di quella che potrebbe essere una lunga serie di problematiche irrisolte da affrontare concretamente e costruttivamente in questa Europa che sembra sull’orlo di un’implosione pericolosa.
Ma quello che non si comprende, in questo surreale dibattito italiano ed europeo, sono la risposta regressiva e la sequenza di tentativi di disgregazione che mettono in atto, al di là delle dichiarazioni di facciata, una sorta di rifiuto categorico dell’Unione Europea e nello stesso tempo rimettono in circolazione gli “spettri” e il veleno di un nazionalismo che diventa quasi sempre la premessa, o il suggerimento drammatico, di una svolta autoritaria che in questo caso ricadrebbe nei singoli Paesi che danno vita all’attuale Unione Europea.
L’impressione della politica portata avanti dal leader della Lega, Matteo Salvini, non è quella di sciogliere i nodi, i problemi istituzionali che frenano l’Ue e quindi di favorire un’integrazione più idonea a scelte politiche diverse, anche nel rispetto di autonomie e differenze geografiche, da quelle degli ultimi anni. L’impronta che Salvini pare imprimere alla sua politica europea è quella di un cosiddetto “sovranismo” accanto a “reduci” di vecchie ideologie o a teorizzatori di nuovi nazionalismi che nascono soprattutto dalla paura dei mutamenti epocali che sono in corso. L’obiettivo sembra solo uno: destabilizzare, rendere talmente impraticabile il Parlamento e le altre istituzioni europee, riducendole a vivere in una confusione maggiore, tale da svuotarle persino delle loro attuali contraddittorie funzioni.
A ben vedere, Salvini non è neppure convincente con gli altri euroscettici europei. Alla riunione fatta a Milano l’8 aprile, e promossa direttamente dal leader leghista che pare avere ambizioni da primo attore europeo, hanno risposto in pochi.
Nella fotografia che ricorda la riunione c’è il tedesco di AfD, un finlandese e un danese. Marine Le Pen, l’ungherese Orban e il leader austriaco guardano da lontano e non partecipano alla riunione, non si associano neppure totalmente ai “valori” suggeriti da Salvini, che sembrano un decalogo di un’identità passata e rivestiti di una connotazione nazionalista improvvisata.
Alla fine vien voglia di chiedersi che cosa Salvini insegua esattamente. L’insistenza del suo nazionalismo, uscito improvvisamente dalla “questione settentrionale” agitata dalla Lega Nord agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, non si discosta dal nazionalismo novecentesco e sembra utile solo a raggiungere l’egemonia in Italia.
Sembra paradossale, ma Salvini vede le prossime elezioni europee soprattutto in chiave italiana. Ancora paradossale è il suo impegno dichiarato per un’Europa che in realtà gli interessa pochissimo, per concentrarsi sui rapporti di forza in Italia.
Ora, un’Italia isolata in Europa è una realtà senza senso nel mondo globalizzato e la rinuncia a un coordinamento sovranazionale funzionale non ha alcun valore nei nuovi rapporti geopolitici.
Ma in fondo Salvini è l’espressione più evidente del vecchio provincialismo italiano, che ha già creato disastri in alcuni periodi sia in campo politico che in campo economico.
Il rischio è che giocando in modo azzardato in Europa, per puntare poi solo a un’egemonia in Italia, si finisca nel baratro dell’isolamento e nella regressione di un nazionalismo fine a se stesso. La speranza è che questa politica spregiudicata, in una crisi prolungata da cui è difficile uscire, non provochi un causale incidente che potrebbe portare il Paese anche a una svolta veramente pericolosa.