Di un’Europa unita e coesa che promuova sviluppo economico e sociale, oltre che pace, non si può fare a meno in questo mondo sempre più globalizzato che si sta assestando su nuovi rapporti di forza. Questa sembra un’affermazione di buon senso, condivisibile. Eppure la stessa considerazione lascia fredda la maggior parte delle persone.
Tante sono le ragioni per cui i cittadini europei si sono disaffezionati al progetto comune. L’eccesso di burocrazia, la lentezza delle decisioni, l’impressione che venga sottratta troppa sovranità agli Stati membri, l’incapacità di risolvere i gravi problemi sociali dell’epoca che stiamo vivendo, se non di renderli più drammatici. Inoltre, c’è un’impressionante carenza di confronto pubblico sui temi che riguardano il ruolo dell’Europa nel mondo.
Anche il crollo qualitativo della classe politica europea non ha aiutato. A uomini come Schumann, Mitterrand, Adenauer, Kohl e De Gasperi sono subentrati personaggi con un’idea di Europa debole e contraddittoria, come Chirac, Sarkozy, Hollande, lo stesso Macron e la stessa Merkel, che pare preoccupata soprattutto della sua “bottega”. E si può continuare con uomini come Zapatero e Aznar, insieme ai leader inglesi che hanno portato il loro Paese all’attuale disastro della Brexit.
Ma neppure leader credibili e capaci sarebbero oggi in grado di risvegliare una coscienza di cittadinanza europea, e in realtà nemmeno nazionale. Tanto meno possono farlo politici che invocano continuamente prove di forza, come “battere i pugni sul tavolo”, o affabulatori che eludono problemi reali giocando solamente sulle paure e sulle emozioni.
E neppure essere più consapevoli dei tanti aspetti positivi riuscirebbe a convincere i più che la partita europea è decisiva e li riguarda direttamente. Infatti, sono molte le iniziative dell’Unione europea che hanno avuto un impatto positivo sulla vita dei cittadini. Sappiamo quanto ha giovato a un Paese come l’Italia nel suo boom economico del dopoguerra l’appartenenza a un mercato unico di grandi dimensioni. E quanto i fondi strutturali europei, ben usati, abbiano permesso ad esempio un salto di qualità a Paesi come il Portogallo e la Spagna che uscivano da dittature autarchiche e che ne avevano limitato a lungo la crescita economica. Si pensi solamente che la Spagna, con i fondi strutturali, ha costruito tutta la sua rete ferroviaria. E ancora, chi non può notare la differenza tra la Polonia poverissima prima dell’ingresso nell’Unione europea e quella avviata oggi a un grande sviluppo anche grazie ai fondi strutturali in gran parte provenienti da Ovest verso Est e al mercato unico?
Si potrebbe continuare a lungo, ricordando vantaggi portati dall’Europa a cui nessuno adesso vorrebbe rinunciare: la libera circolazione degli studenti universitari con il progetto Erasmus, i fondi Horizon per la ricerca, la libera circolazione di persone e merci grazie all’accordo di Schengen, i progetti multinazionali, anche se non formalmente dell’Unione, come l’Airbus, l’Agenzia spaziale europea, il Cern di Ginevra. Ma anche questo non pare sufficiente a superare la freddezza dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee e anche delle prossime elezioni.
Cosa manca allora? Manca la percezione del proprio posto nel disegno, la consapevolezza che nessun tipo di partecipazione possa fare una differenza. È venuta a mancare la prossimità tra persone che, attraverso qualsiasi tipo di aggregazione, svolgeva un ruolo fondamentale: permetteva di condividere conoscenze, aumentava il senso di responsabilità, stimolava lo spirito di iniziativa, faceva sentire il proprio contributo come qualcosa di irrinunciabile.
In un contesto caratterizzato da una moltitudine di “uomini soli” e dalla mancanza totale di intermediazione, che era garantita da una molteplicità di corpi intermedi di diversa natura, le singole persone non si sentono più coinvolte e neppure protagoniste di un progetto comune.
Il ritorno di leader di spessore potrebbero certamente aiutare. L’immagine di De Gasperi che parla al congresso di Versailles e chiede clemenza per l’Italia interpreta un popolo. Kohl e Mitterrand che camminano, tenendosi per mano, nei cimiteri di guerra al confine di Francia e Germania interpretano un popolo.
Ma rimane il fatto che accanto al grande progetto europeo si accompagni la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini europei. In un’epoca completamente nuova, con la scomparsa delle ideologie e delle formazioni politiche in cui si riconoscevano, si presenta ora un grande spazio vuoto che può essere riempito solo da nuove forme di associazione, di collaborazione tra cittadini, di socialità rinnovata in base alle inevitabili visioni e ai nuovi progetti sociali che già si stanno delineando, ma che ancora non trovano momenti di aggregazione e di coordinamento.
È il genio del popolo che deve tornare a interpretare un grande desiderio da realizzare.