E ti pareva. Anche la profonda e preziosa riflessione del papa emerito sulla pedofilia nella Chiesa l’hanno buttata in politica. Essa richiama un percorso di conversione reso in radice possibile dal riconoscimento del Mistero di un Dio presente, di Cristo vivo, di un Chiesa dove attraverso l’umano si introduce il divino. Macché: banalizzata, catalogata, rimossa dalla più parte dei commentatori: professionisti, dilettanti e anche meno: amatori da social. La nota di Benedetto dice parole – come Dio – che non vanno pronunciate in pubblico perché, tanti pensano, non c’entrano niente con i problemi dell’uomo e con la loro soluzione.
Leggete qui. “La cosa che più ci ha angosciati è che nella disamina dell’accaduto e nel mare di contrabbando retorico che quelle analisi hanno accompagnato… non ci è stato concesso di imbatterci in una sola domanda che recasse in sé il disperato bisogno di una possibile spiegazione totale, e perciò religiosa del punto dove è arrivata la vita… Nemmeno [da realtà di ispirazione cattolica, come la Dc e non solo, ndr] il nome di Dio è venuto fuori. E neppure quello della sua assenza; il vuoto, intendo, che la sua assenza ha determinato nella società dell’uomo”. Preciso, eh?
Solo che queste parole le ha scritte Giovanni Testori, nel fondo in prima pagina del Corriere della Sera (intitolato “Realtà senza Dio”, 20 marzo 1978), quattro giorni dopo il sequestro di Aldo Moro ad opera delle Brigate rosse. Attualissime. Anche adesso sembra che quasi nessuno senta il “bisogno di una possibile spiegazione totale” di una piaga così grave nella Chiesa. Che così sarebbe una “Chiesa senza Dio”. Dico la più parte dei commentatori e degli addetti ai lavori, peraltro non numerosissimi, che si sono pronunciati. Per essi il sugo della storia sta nella dialettica tra il “partito di Bergoglio” e il “partito di Ratzinger”. I supporter del primo (che hanno trovato il sostegno del Fatto quotidiano e di Vito Mancuso su Repubblica) accusano i tradizionalisti di brandire Ratzinger-il-reazionario per compiere un’indebita interferenza nel campo avversario e sabotare Francesco; quelli dell’altro partito (con appoggio di Libero e della Verità) gongolano perché finalmente un’autorità come dio comanda pronuncia la sana e ferma dottrina in grado di raddrizzare la barca di Pietro malmessa in linea di navigazione da un capitano argentino un po’ lassista e modernista. È vero che partiti, bande, cordate e lobby non sono mai mancate nella Chiesa: dai tempi di io sono di Apollo, io sono di Paolo, ecc., sempre qualcuno ha alzato la bandiera de lo papa vero e qualcun altro quella de lo vero papa, come nel film di Brancaleone, entrambi per ragioni di cadrega – chi se l’è scelto per professione – o di ostinazione ideologica – chi lo fa per gioco o per passione (per utilizzare una perspicace distinzione che De André fa in Bocca di rosa). E chi non ricorda i sedicenti montiniani contrapposti alle truppe di invasori del papa polacco?
Ma la Chiesa di Dio non è riducibile a una dialettica di nomenclature; né la sua guida a un contratto di governo; né la splendida commovente ed esemplare comunione tra i due papi è lontanamente paragonabile alla rabberciata e berciante convivenza tra un Giggino e un Matteo.
Infatti: il testo di Ratzinger parte da un’analisi storico-culturale dell’esplosione del fenomeno pedofilia e via via dagli aspetti culturali e morali cala in profondità alla radice del problema. Egli indica nella dimenticanza di Dio l’origine profonda del male e nella rimozione del Mistero la riduzione della Chiesa a costruzione che l’uomo fa e disfa e cambia in virtù del suo orientamento ideologico, della sua progettazione stratregica e della sua capacità organizzativa.
“Il primo compito che deve scaturire dagli sconvolgimenti morali del nostro tempo – scrive Benedetto – consiste nell’iniziare di nuovo noi stessi a vivere di Dio, rivolti a lui e in obbedienza a lui. Soprattutto dobbiamo noi stessi di nuovo imparare a riconoscere Dio come fondamento della nostra vita e non accantonarlo come fosse una parola vuota qualsiasi”.
Citando il grande teologo von Balthasar afferma che Dio bisogna “non presupporlo ma anteporlo! In effetti, anche nella teologia, spesso Dio viene presupposto come fosse un’ovvietà, ma concretamente di lui non ci si occupa. Il tema ‘Dio’ appare così irreale, così lontano dalle cose che ci occupano. E tuttavia cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se non lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire”.
Giunti a questo punto alcuni si sono annoiati: è un “presupposto” che “sappiamo già. Adesso vediamo noi le conseguenze”. Sono i professionisti dell’agenzia clerico-politica che non ha niente da dire all’uomo reale. Altri, al contrario, si sono sentiti sempre più attirati verso il centro del problema e verso il cuore della speranza come Ratzinger (e Bergoglio, ognuno con il suo accento) lo propongono. Sono quelli interessati a verificare la pertinenza della fede a tutte le umane esigenze e a tutte le circostanze dell’esistenza. Che siano i poveri di spirito? Direi di sì. Beati loro.