“Vieni con me”. Il frutto di venticinque anni di vita insieme era contenuto tutto in quell’invito. Sandra però non stava partendo per una vacanza. Era in un letto di ospedale, da dove presto sarebbe tornata a casa per passare gli ultimi giorni della sua vita. “Verrei volentieri con te”, pensa Ale in un primo momento. Ma poi qualcosa torna a farsi sentire dentro. “Devo rimanere qui”: è tutto quello che riesce a pensare.
Lui imprenditore, lei prima casalinga poi segretaria. Due figli, una femmina e un maschio. Una famiglia come tante altre che vivono nel milanese, con i suoi alti e bassi. Ale ha un certo successo professionale, fa un po’ mancare la sua presenza in casa, ma grazie al suo lavoro ai suoi non manca niente. Hanno degli amici che arricchiscono la loro vita. E c’è anche una spinta in più: quella della gioia e della speranza della fede cristiana.
“Abbiamo passato venticinque anni intensi insieme”. “Venti”, lo corregge lei, che da cinque lotta contro una malattia rivelatasi subito grave.
Quante ore passate a pregare, loro due, i figli, gli amici. Ale viene anche a sapere che alcuni si trovano tutte le settimane a dire il rosario. Se c’era qualcuno che non aveva intenzione di accettare la morte a cinquant’anni quelli erano loro. Ricoveri, cure, sconforto. E di nuovo voglia e coraggio di lottare, la costruzione della nuova casa, il trasloco e tanta vita tra le mani. E poi ancora giù, arrabbiati con Dio ma pieni di domande a Lui, prima di tutto quella di saper accettare. La scuola superiore e poi l’iscrizione alla facoltà di ingegneria del figlio, gli studi e il lavoro da infermiera della figlia, l’attività professionale di Ale e gli amici con cui stare.
Ma nessun ragionamento può dargli un briciolo di forza in più. È troppo fuori dalla sua portata quello che sta succedendo. Ogni pensiero è privo di respiro, cerca di divincolarsi come fosse rimasto troppo tempo sott’acqua. Non era la prima battaglia con la malattia che stava intraprendendo. In quegli anni anche lui ci aveva dovuto fare i conti, ma l’aveva vinta. “Uno dei due deve sopravvivere per i ragazzi”, le aveva detto Sandra quando lui si era deciso a rivelarle ciò che stava passando.
Per lei invece era arrivato il momento di arrendersi. Ma Ale pensa di giocarsi una carta pesante: si sta avvicinando la Pasqua, chiama un suo amico prete e gli chiede di poter portare la croce durante la Via Crucis del venerdì santo. Vuole il miracolo. Vuole che lei guarisca. Il lunedì prima però Sandra muore. Non serve più portare la croce. Vuole rinunciarci, ma l’amico sacerdote lo convince a farlo: “Portala per te”. Mentre cammina con la croce in spalla e un vuoto nel cuore, si commuove in mezzo alla folla di fedeli e riscopre il suo bisogno di essere accompagnato. D’improvviso intuisce che nulla può davvero finire.
È passato un anno da quando Sandra se ne è andata. Ale ha fatto dire una messa e ha organizzato una cena a cui ha invitato gli amici che hanno condiviso con loro quei cinque anni, un’ottantina in tutto. Ogni 26 del mese per la verità vuole intorno a sé gli “amici di Sandra”, così li chiama, una trentina di persone con cui partecipa alla messa e che poi invita a cena a casa.
Lei è sempre nei suoi pensieri, la vede sorridente, non stanca, né rassegnata o sopraffatta dalla malattia. La guarda mentre fa compagnia agli altri malati che incontrava in ospedale e con gli infermieri che le volevano bene.
Ogni tanto ci ripensa, “avrei voluto venire con te”.
Ma anche quando i pensieri si assiepano e non lo lasciano in pace lui cosa fa? Niente. Semplicemente non si oppone alla vita che accade, ma la ascolta e la segue.
Tante persone chiedono il suo aiuto materiale e la sua amicizia: lui non si tira indietro, ha presente il bisogno degli altri, come ora ha presente il suo.
Come disse Jean-Luc Nancy: “L’esistenza non è da sacrificare e non la si può sacrificare. La si può solamente distruggere, oppure condividere”.