È in fase di confronto finale tra le Regioni il “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia”, uno strumento in gestazione da mesi, tra polemiche e prese di posizione contrastanti. Un piano che non prevede abbattimenti, come il precedente del 2017, ma una serie di azioni volte a promuovere la convivenza tra lupi, uomini e altri animali.
Per tanti, immagino la maggioranza, questa è una notizia che potrebbe apparire secondaria, soprattutto in mezzo alla confusione politica e sociale di questi giorni. Per me invece è un fatto significativo e che riguarda le relazioni che gli uomini hanno con tutto ciò che li circonda. Il Piano è una buona occasione per passare, almeno come dichiarazione di intenti, a una gestione razionale della fauna selvatica, una necessità poco percepita da alcuni, ma fondamentale se si vuole conservare l’ecosistema in un modo equilibrato e che tenga conto anche delle specie che interagiscono più da vicino con le attività dell’uomo.
Accanto al lupo, specie che negli ultimi anni ha ripreso a diffondersi in diverse regioni d’Italia, c’è un altro superpredatore che, in modo meno clamoroso, è ricomparso sulle nostre montagne, tanto da saturare progressivamente gli habitat disponibili. Si tratta dell’aquila reale che, negli ultimi 30 anni, ha riconquistando territori abbandonati a causa dell’attività venatoria umana.
Perché è così importante che gli animali in generale e i grandi predatori in particolare siano presenti nel nostro ambiente? Innanzitutto per una ragione strettamente ecologica. La fauna selvatica fornisce informazioni sullo stato di salute dell’ambiente, e la presenza in particolare dei grandi predatori, indica due dati fondamentali: la ricchezza delle componenti dell’ecosistema (presenza di altri animali e altri elementi naturali) e l’adattabilità genetico-comportamentale di queste specie alle trasformazioni ambientali. Esemplare a questo proposito è ciò che è avvenuto nel parco di Yellowstone alcuni anni fa. La scomparsa dei grandi predatori aveva portato a una proliferazione degli erbivori che stavano distruggendo tutta la vegetazione. Gli interventi per la reintroduzione dei predatori hanno ricondotto all’equilibrio per numero di esemplari le altre specie, migliorando l’ambiente nel suo complesso. Non ci pensiamo mai, ma il degrado ambientale, il dissesto idrogeologico, la desertificazione, il proliferare eccessivo di animali che distruggono il territorio, quali cinghiali, nutrie, topi, sono segni di fragilità di tutto l’ecosistema.
Ma c’è una ragione più profonda per cui orsi, lupi, aquile da noi, e leoni, rinoceronti, tigri altrove vanno aiutate a vivere. È nota l’avversione di molti uomini verso i lupi. Essa ha origine in reazioni ancestrali di paura e competizione, che derivano sicuramente da casi di antropofagia del lupo, documentata anche in Italia sino al XIX secolo. Un rapporto che però non è solo conflittuale: esisteva una misteriosa attrazione, vissuta con il lupo dai nostri progenitori. In epoca preistorica, al termine delle glaciazioni, gli uomini entrarono in contatto con questo canide, addomesticandone gradualmente alcuni esemplari e inserendoli nella comunità umana, grazie alla struttura sociale gerarchica condivisa da umani e lupi.
Oggi l’allarme nasce spesso dall’irrazionale sopravalutazione dell’attacco del lupo ad animali allevati a mandrie o nuclei di ovi-caprini semi bradi o non regolarmente custoditi (spesso opera di cani imbastarditi). In tutto ciò non è secondaria la ricerca di facile consenso attraverso argomenti superficiali, come avviene spesso di questi tempi. Ed è per questo significativo che il Piano faunistico, con competenza e ragionevolezza, si ponga l’obiettivo di permettere una convivenza tra uomini e lupi senza abbattimenti e con risarcimenti per i danni subiti.
È interessante inoltre che tante persone che vivono in città sentano così importanti questi temi: non solo la conservazione del pianeta, ma anche l’esistenza di questi animali che magari non vedranno mai. Il fatto non è legato a un’idolatria naturalista, come pensa chi contrappone due cose giuste, la difesa degli animali e la difesa della vita umana. Il fatto è che l’uomo è un essere relazionale e non può prescindere non solo dai suoi simili, ma anche dalla natura. È la bellezza del creato che ne desta le domande ultime, che fa sì che il desiderio che ha nel cuore cresca e lo metta in azione. E in questo la natura ha un ruolo fondamentale: il mistero e il fascino che provoca nelle persone è insostituibile. Per questo i bambini, ne sono così affascinati. Per questo ogni animale è simbolo di qualcosa che esiste nell’uomo, dalle grotte preistoriche alle fiabe di Esopo, alla Divina Commedia, a Walt Disney. Per questo la scomparsa anche di una parte della natura è simile alla notizia della distruzione di grandi opere fatte dall’uomo.
Non è panteismo, anzi. Come insegna papa Francesco distruggere la natura è uno sfregio a Dio stesso e un suicidio dell’uomo.