Un ’68 alla rovescia

Una scuola di Milano. La preside viene insultata con un atto di teppismo, ma famiglie e studenti la difendono coprendo le scritte con post-it colorati

A volte ti assalgono pensieri inquietanti. Forse esagerati. Probabilmente da vecchi. Tipo: sopravvivrà il cristianesimo all’organizzazione clericale? Che futuro avranno i bambini con i genitori che si ritrovano? A scuola poi. Con un paparino che fa l’occhio pesto all’insegnante perché ha dato – ma come si permette? – un’insufficienza al mio gioiello. E poi questi ragazzini aspiranti bulli pronti a mettersi in branco per strappare il cellulare a un povero sfigato di compagno. O, Dio non voglia, per allestire anche peggiori nefandezze… Capita che a noi vecchi vengano questi pensieri.

Poi capita che veleggiamo verso Caravaggio, lombardissimo Santuario di Santa Maria del Fonte. In cerca di una liturgia eucaristica… normale. Una di quelle poco “animate”, così che non corri il rischio di trovarti in una messa trash tipo Halloween. Santa Maria del Fonte. Fontana. In una pianura, di Padania, che fu piena di risorgive. “Sei di speranza fontana vivace”: Dante. Che ci rimbalza subito a Péguy: “La Fede è una Sposa fedele. La Carità è una Madre. La Speranza è una bambina da nulla. Eppure è questa bambina che traverserà i mondi. Questa bambina da nulla. Lei sola, portando le altre, che traverserà i mondi compiuti”. Perché la parolona financo difficile da dire è proprio quella lì: speranza.

Vabbè. C’è sempre la radio in macchina. Parla una preside. Di scuola media. Forse bisognerebbe dire dirigente scolastica, ma lasciamo stare. Ma va’ come è pacata, equilibrata, ragionevole. Come la si ascolta volentieri. Come farà a bucare l’audio? Invece lo buca, lo buca sì. Dice che è contenta di quel che è successo alla sua scuola, la “Cavalieri”, superiore di primo grado, per noi vecchi scuola media, sede di via Anco Marzio, angolo Tullo Ostilio, due dei sette re di Roma ma siamo a Milano, non lontani da Sant’Ambrogio e dalla Cattolica.

La notizia è vecchia di quasi una settimana, ma cosa volete farci, mi era sfuggita. Una notizia piccola come la speranza. Dunque: sul muro della scuola erano comparse due scritte spray di pesanti insulti rivolti alla preside, o dirigente scolastica che dir si voglia. Insomma la prof. Rita Bramante, da sette anni alla guida del plesso. È successo che le scritte sono state ricoperte dai ragazzini della scuola – 12, 13, 14 anni – con centinaia di post-it giallo, rosa e arancione su cui hanno scritto parole di elogio e di affetto per la preside Rita. I genitori, miracoli della speranza, sulla stessa linea. “Non si scoraggi”, “E’ la più brava di Milano”. “Lei mette il cuore per noi, le vogliamo bene”. “Se non fosse presente con noi non sarebbe successo”. E altre ingenue, genuine, affettività.

L’hanno chiamato il muro della gentilezza. Ma forse è da chiamare il muro della speranza.

Eh sì. Perché una roba del genere ha la qualità (non la forza, ahimè) di un nuovo ’68, ma alla alla rovescia. Cioè non la conquista della libertà di mandare all’inferno l’autorità cristallizzata in autoritarismo, ma la libertà di riconoscere un’autorevolezza amica del tuo futuro, del tuo destino.

Rita è la controtendenza possibile all’evaporazione del padre raccontata da Lacan. Basta sbirciare il sito della scuola e si intuisce che lì c’è iniziativa, vita, lavoro, trasparenza, coinvolgimento. Nelle news: a marzo un magistrato ha fatto lezione di cittadinanza. A febbraio c’era stato il Vangelo secondo Lorenzo inteso come don Milani, prima di Natale il notissimo psicoanalista Massimo Recalcati aveva parlato di regole del gioco e attrezzi del mestiere. In ottobre erano state pubblicizzate le prove Invalsi. In settembre, a inizio anno, una lettera della preside descriveva il percorso del triennio all’insegna degli anniversari, mica bruscolini, rispettivamente di Leonardo, Raffaello e Dante. Nello stesso mese la partecipazione alla notte europea dei ricercatori. Insomma, l’idea che lì c’è vita. E vita condivisa.

Non si tratta di un mondo idilliaco: “Ci sono le fisiologiche contrapposizioni – ha spiegato una mamma – tra le varie componenti dell’istituto, mancherebbe che non interloquissimo a volte anche con discussioni accese, ma è un ambiente costruttivo e la dirigente mostra sempre la massima disponibilità”.

“Gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”: la sentenza di Plutarco è scritta sul muro della scala di accesso a Portofranco, luogo meneghino di aiuto allo studio per ragazzi delle superiori. Per riempire basta lasciarsi esondare. Per accendere occorre proporre sino a condividere il fuoco di un’esperienza buona. E questa è l’autorevolezza.

Dopo di che per arrivare alle aule deve iniziare il tuo lavoro, cioè devi farti il fiatone per cinque o sei rampe di scale. Come fece il grandissimo Enzo Jannacci, ormai gravato dagli anni e debilitato dalla malattia, quando – non molto tempo prima di morire – venne da questi ragazzi a parlare, e cantare, della carezza e della ferita del Nazareno che danno senso e prospettiva all’esistenza. “Grazie Maestro”. Grazie maestra Rita. Che grazia, infatti, che segno di speranza è l’autorevolezza.

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