Due settimane scarse al voto per il parlamento di Strasburgo, ma morire che si parli di Europa. Dico al bar sport come in tv. Massimo due slogan. Vecchio vizio italiota, non una novità. Adesso però fa più tristezza perché l’Europa una volta era scontata, oggi è in discussione, e si ha l’impressione che non ci rendiamo ben conto di che cosa sia in gioco. È in gioco un unicum economico politico e sociale, una realtà che non ha eguali nel mondo. Si può dire con tre numeretti: 7% della popolazione mondiale che produce il 25% della ricchezza (tu chiamalo se vuoi Pil) del mondo ed eroga per il welfare – salute, previdenza e assistenza – risorse pari al 50% di quanto speso dal mondo intero. Numerini che misurano l’esito di un peculiare ethos e una peculiare cultura. E buttala via… Ed è giustissimo dire, come ha fatto per esempio Fernando De Haro, che non si costruisce né si salva alcunché attardandosi nel lamentoso rimpianto dei valori che furono: la sfida è tutta nell’oggi. Ben sapendo che l’oggi che interessa, il ruolo e la missione della peculiarità europea nei nuovi scenari mondiali, non è quello quotidianamente ammorbato dalla voluta rissa su tutto e il contrario di tutto inscenata dai due Dioscuri separati in casa a Palazzo Chigi (loro in gara a raccattar consensi per fini interni e gli altri, sedicenti opposizioni, a bordo ring a sottolineare che litigano senza null’altro proporre).
Provando a guardare un cicinino oltre il nostro piccolo giardinetto condominiale, può essere per esempio di qualche utilità considerare cosa succede votando il partito A o B e preferendo Tizio, Caio o Sempronio. Succede che l’elettore italiano manderà a Strasburgo 73 deputati, che si distribuiranno non in base ai 28 Paesi di provenienza, ma in base a gruppi politici, più o meno corrispondenti ai vari partiti europei (40), cui i vari partiti nazionali sono affiliati. Perciò l’azione degli eletti sarà necessariamente dentro le linee guida di queste formazioni: proclami individuali possono dire un’intenzione anche sincera, ma non di più.
Il gruppo principale al parlamento di Strasburgo è quello del Partito popolare europeo. Diciamo centrodestra. Vi fanno parte i cristiano-democratici tedeschi, i popolari spagnoli, i repubblicani francesi. Per l’Italia, c’era una volta la Dc, adesso c’è Forza Italia. Più UdC, Nuovo centro destra e succedanei. L’ispirazione di fondo è di tipo democratico-liberale con influenze della dottrina sociale cristiana e della tradizione illuminista. Convintamente europeista (a questa tradizione appartengono i tre padri fondatori della Comunità europea, Schuman, De Gasperi e Adenauer), attualmente un po’ incerto se strizzare l’occhio o no ai sovranisti. Il capo attuale, Weber, ha deciso per il no. E il partito dell’ungherese Orbán, campione della “democrazia illiberale”, è stato sospeso. Per quanto riguarda l’immigrazione, propone un piano Marshall per l’Africa da 50 miliardi. Il Ppe viene dato in calo ma non di tantissimo.
Secondo gruppo è l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. Raggruppa tutti i partiti storici del socialismo europeo (Pse), e per l’Italia il Pd, compresi gli ex, bersaniani, dalemiani e affini. Convinti europeisti anch’essi, non hanno in Europa una linea di politica economica tanto diversa dai popolari. Verosimilmente una più sensibile demarcazione è sul tema dei diritti individuali e la parità di genere, temi sui quali il gruppo europeo nel suo insieme sembra più segnato da una impostazione laicista. Viene data in calo vistoso: la socialdemocrazia in Europa è più in crisi dei demo-liberali.
L’Alde (Alleanza dei democratici e dei liberali) riunisce i liberali tedeschi, il Movimento democratico francese, lo spagnolo Ciudadanos. Vi dovrebbe entrare il gruppo di Macron. Per l’Italia, Più Europa di Emma Bonino. Europeisti senza riserve, ideologia liberale laica laica.
La sinistra-sinistra ha un suo gruppo ma è sparpagliatissima. Occhio alla soglia di sbarramento: 4%.
Poi ci sono i gruppi euroscettici. Che sono due di destra: Ecr (conservatori e riformisti) ed Enf (Europa delle nazioni e delle libertà) e uno, Efdd (Europa delle libertà e della democrazia diretta), che forse non sopravviverà a se stesso.
Vi fanno parte, per l’Italia, nell’ordine: i Fratelli d’Italia della Meloni (con i polacchi poco democratici di Kaczynski), la Lega di Salvini e i 5 Stelle. I quali ne sono usciti (erano in compagnia dell’uomo-Brexit, Farage) e sono in cerca di alleati per fare un loro gruppo; anche i contatti con i gilet gialli rientrano in questo scouting. Il loro programma è basta vincoli di bilancio, meno soldi ai parlamentari, usiamo la rete al posto della rappresentanza delegata. Inoltre: alla larga dalla Lega.
La quale sta nel raggruppamento con Marine Le Pen e l’ultradestra austriaca, il partito anti-immigrati olandese. Si attende l’arrivo dei destri tedeschi di Alternativa per la Germania (AfD) e forse la destra spagnola di Vox.
A questo punto, è un po’ rischioso tracciare linee di demarcazione con il falcione. C’è un fronte europeista dei partiti tradizionali e un fronte euroscettico se non anti-europeo. Il primo abbastanza omogeneo sull’economia di mercato, ha al suo interno una demarcazione nord-sud tra rigoristi di bilancio e fautori di politiche più espansive; e una demarcazione sui temi etici, gender e nuovi diritti in genere.
Il secondo, il fronte euroscettico, ha in comune la volontà di ridurre i poteri dell’Europa sui bilanci degli Stati e la chiusura all’immigrazione: noialtri first, e lasciateci spendere come cavolo ci pare. Ha dentro una divisione est-ovest: e il discriminante si chiama Putin. Marine Le Pen e Salvini sono putiniani per convinzione e sostegno ricevuto, mentre quelli che sotto la Russia intesa come Urss ci sono già stati, la pensano diversamente.
In uno scenario di poteri mondiali dominati da un Trump che non ama l’Europa, un Putin autoritario che la vuol dividere, una Cina totalitaria che vuol mettere i piedi nel piatto, siamo chiamati a decidere se il bene comune dei singoli paesi e dei cittadini sarà meglio promosso da un rinnovato unicum europeo (valore della persona, Stato di diritto, economia sociale di mercato, welfare, sussidiarietà) o dalla sua autoliquidazione.