Cose grandi possono accadere nel Mondo Piccolo-Roba Minima di un paesotto come un altro di Padania, provincia d’Europa. Qui ne narriamo un paio, ed entrambe sono belle storie aziendali. Buone notizie, insomma. Valgono a ricordarci che il possibile valore sociale dell’impresa è enorme, per il lavoro e per un bene sociale più ampio.

Prima storia. Mentre ovunque ci si accapigliava su decreto dignità e dintorni, al paesotto il Tresoldi, titolare della Tredi assemblaggi meccanici, ha tagliato corto assumendo 25 operai “precari” che gli forniva una cooperativa. Il Tresoldi è mica matto: ha solo preso le mosse non dalle diatribe ma dalla provocazione della realtà: “Vedevo i miei operai poco sereni, tesi. La loro precarietà non li faceva star bene e allora li ho stabilizzati. Ora hanno più sicurezza e possono lavorare diversamente”. Partito come imprenditore nel 2006, aveva già messo a posto nel 2013 15 operai e altri 16 nel 2017. Dice il Tresoldi che “se un imprenditore non investe e aspetta che le cose cadano giù dal cielo, non va da nessuna parte. L’azienda per crescere ha bisogno di una base solida, e questa base sono i dipendenti che devono essere sereni e lavorare nelle migliori condizioni”. Guardare all’umano come “base solida” non è dunque roba da assistenza caritatevole dopo-lavoro e fuori mercato.

Secondo esempio. Ci viene da Michele Ferrero (1925-2015), inventore della Nutella e gran patròn di una multinazionale alimentare italiana con 35mila dipendenti, 10,7 miliardi di euro di fatturato e 735 milioni di utile (dati 2018). E uno stabilimento anche nel suaccennato paesotto di Padania. Un genio del prodotto e del marketing. Ma, e qui è la riscoperta recente, anche genio pionieristico del management e della leadership aziendale, basati sulla stima e il rispetto della persona, la relazione umana, la capacità di valorizzare, condividere e far crescere. E non invece su modelli autoritari, coercitivi, volutamente stressanti o puramente organizzativi.

“Quando parli con un individuo ricorda: anche lui è importante”, raccomandava ai suoi alti dirigenti. Ai quali 40 anni fa ha consegnato in 17 punti le linee guida di comportamento. Eccone qualche stralcio. “Mettete i vostri collaboratori a loro agio, dedicate loro il tempo necessario e non le briciole. Preoccupatevi di ascoltare”. “Rendete partecipi i collaboratori dei cambiamenti e discutetene prima della loro attuazione con gli interessati”. “Siate sempre umani”. “Non chiedete cose impossibili”. “Ammettete serenamente i vostri errori, vi aiuterà a non ripeterli”. “Non pretendete di essere tutto per i vostri collaboratori, finireste per essere niente”. “Diffidate di quelli che vi adulano, sono più controproducenti di quelli che vi contraddicono”. E infine: “Se non credete in questi principi, rinunciate ad essere capi”.

A una lettura superficiale potrebbe sembrare semplice buon senso. Non è così. Ha scritto recentemente, sulla rivista Forbes, Roberto D’Incau, che è considerato uno dei più importanti opinion leader in materia di risorse umane: “Nella gestione delle persone le regole che Ferrero dettò ai suoi dirigenti quaranta anni fa sono validissime ancora oggi, e paradossalmente sembrerebbero essere il risultato della lettura dei libri più recenti sulla leadership emozionale (vedi i testi di David Goldeman, ndr) e sull’importanza dell’empowerment”. Sembrerebbero. Ma non è così, ovviamente, dato che i testi di Goldeman e affini erano di là da venire. E allora da dove ha attinto l’imprenditore piemontese? Da uno sguardo attento alla realtà, da impegno vissuto con sensibilità per l’umano in tutta la sua dignità e con passione per la sua crescita insieme a quella dell’impresa economica.

Dulcis in fundo, Michele Ferrero era religiosissimo e devoto alla Madonna di Lourdes (c’è una grotticella con statua in ogni stabilimento, anche nel paesotto di Padania). Ora, sapendo che la Vergine santissima non si è mai occupata di management aziendale (ma solo di ménage domestico) e sapendo altresì che la veggente Bernadette Soubiroux non ha ricevuto nessuna rivelazione anticipata delle tesi di Goleman, non resta ragionevolmente che una spiegazione: e cioè che il forte senso religioso di Michele Ferrero abbia plasmato ed educato in lui quello sguardo così straordinariamente inclusivo e valorizzatore dell’umano, da risultare anche strategico per l’economia e per l’impresa.