Se si misura la capacità e la competenza di un uomo politico secondo i canoni che aveva tracciato Winston Churchill, c’è da restare allibiti rispetto alle attuali classi dirigenti del nostro paese, dell’Europa e probabilmente del mondo intero. Il leader britannico che ha combattuto, per due anni, da solo, contro Hitler e alla fine lo ha sconfitto, rifiutando qualsiasi tentativo di trattativa a cui molti, in tutto il mondo, invece lo invitavano, sosteneva che l’uomo politico deve guardare a quello che accade ogni giorno, deve prevedere quello che avviene dopo una settimana o dopo un mese. E deve anche cercare di prevedere quello che avviene dopo un anno, sapendo bene e impegnandosi a spiegare perché quello che aveva previsto non fosse accaduto.
Assistiamo in questi anni a un autentico scempio di previsioni e mai a successive spiegazioni o, quando avvengono, al massimo a disastrose autocritiche che vengono sottaciute e passano preferibilmente sotto silenzio.
Il fatto non riguarda ovviamente solo gli uomini politici “imprevidenti”, ma le classi dirigenti in generale. C’è qualcuno che si ricorda del famoso economista, trasformatosi in sedicente storico, che decretò la fine della storia? Francis Fukuyama, nippo-americano che trent’anni fa mandava in soffitta una “tonnellata di filosofi” che si erano macerati letteralmente sulla storia e la filosofia della storia, invitando con il suo La fine della storia, dopo l’implosione del comunismo in Europa, alla “baldoria” continua e alla “beatificazione” del libero mercato?
È senza dubbio un campione del mondo della “bufale”, altro che fake news. Oggi dice che “…beh, in effetti erano tempi diversi…, ma bisogna tenere conto del contesto”. Un paracomico.
Venne poi l’epoca degli uomini di sinistra a livello mondiale che si spostavano al centro per diventare i nuovi interpreti della società futura. Eccoli: i Clinton, i Blair, gli Schroeder e, perché no, il nostro Veltroni, che predicavano l’ ”Ulivo mondiale”, una sorta di ammucchiata al centro, dimenticando il riformismo economico e sociale e, nel caso di Veltroni, addirittura gli anni del compagno Breznev, del più acuto Andropov e della “mummia” Cernenko. In una celebre relazione congressuale, al Lingotto di Torino, Veltroni riuscì a coniugare Totò con John Kennedy, dichiarando inoltre di non essere mai stato comunista. Roba da far venire ai brividi alla schiena, ma su cui ben pochi hanno mai avuto da eccepire.
Il risultato di queste contorsioni è che in America alla fine è uscito dalle urne Donald Trump; in Gran Bretagna si è dovuto riscoprire il laburismo di sinistra anti-Blair per sopravvivere; in Germania i socialdemocratici viaggiano sotto il 10 per cento e in Italia la nuova sinistra, secondo gli “esperti”, sarebbe interpretata da Luigino Di Maio, ispiratosi a un comico e alle piuttosto affrettate letture di Rousseau, mentre il Pd sembra un’assemblea di “ripetenti” che cercando di coniugare libero mercato e riformismo socialdemocratico.
Non restringiamo il campo. In quello stesso periodo si affacciavano però dopo Henry Kissinger nuovi “strateghi internazionali” che avevano individuato un “fiorire democratico” in tutto il “terzo mondo”. Il tempo delle cosiddette “primavere arabe” è finito in un polverone inquietante che si innesta in una globalizzazione senza controllo e in una tragedia umana per migliaia di persone in fuga da guerre e colpi di Stato, con l’ombra di un ritorno addirittura al tribalismo.
È vero del resto che il Pil del pianeta cresce sempre, annualmente, del 3 o 4 per cento, ma le crisi economiche globali, soprattutto dove lo sviluppo era ben consolidato, stanno impoverendo in modo spaventoso la classe media, provocando nuove povertà, precarietà del lavoro e ondate di risentimento sociale e rancore.
I profeti del “benessere al contrario” sono una pletora infinita e hanno un’influenza enorme nell’opinione pubblica, fino al punto, in alcuni Paesi come l’Italia, di provocare effetti di rigetto. Ritorniamo a un piccolo elenco di visionari spaesati. Robert Lucas, economista americano della celebre “scuola di Chicago”, dichiarava nel 2003: “Il problema principale di prevenire la depressione è stato risolto in tutte le sue implicazioni pratiche”. Ben Bernanke era più sicuro: “La moderna politica macroeconomica ha risolto il problema del ciclo economico, o per essere più precisi, l’ha ridotto a un banale fastidio”. In Italia si esultava anche di fronte alle avvisaglie della crisi del 2007-2008. Francesco Giavazzi sul Corriere del 4 agosto 2007 scriveva: “La crisi del mercato ipotecario americano è seria… ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria”. Il 27 settembre del 2007 Alberto Alesina faceva il coro sul Sole 24 Ore: “Finora non è accaduto nulla di catastrofico, né a mio parere accadrà… Nessuno sa bene che cosa succederà nei prossimi mesi. Quasi sicuramente nulla di disastroso”. Tito Boeri su Repubblica del 22 agosto 2007 sentenziava: “Non gettiamo oggi, come tante volte in passato, i semi della crisi futura con una reazione eccessiva alla crisi corrente”.
Vivissimi complimenti a tutti questi “meteorologi” dell’economia che restarono zitti quando, fallita Lehman Brothers, sovvenzionate a miliardi di dollari, con denaro pubblico, altre banche d’affari, alcuni grandi banchieri si presentarono davanti al presidente Usa dicendo: “O lo Stato federale ci dà tanto o domani questo mondo non c’è più”.
Intanto in Europa, si affacciava lentamente alla ribalta di Bruxelles il lussemburghese Jean-Claude Juncker, noto per la sua abilità di non far pagare le tasse alle multinazionali nel Granducato e preparato alle grandi “sparate” del rilancio europeo. Stava guardando la Grecia che moriva e non ha fatto una piega, salvo poi fare autocritica per la politica d’austerità e “per aver abbandonato la Grecia al suo destino”. All’inizio del suo mandato come presidente della Commissione, Junker aveva parlato di un investimento europeo di 300 miliardi di euro. Beato chi ha visto uno di questi euri.
Poi c’è l’Italia da ricordare. Non solo Veltroni, ma anche il Massimo D’Alema speranzoso e sicuro del miglioramento della seconda repubblica rispetto alla prima. Il Berlusconi straripante di ottimismo. Infine un “maestro” del diritto, il magistrato Francesco Saverio Borrelli, capo del pool di Mani pulite, inchiesta che ha coinvolto, secondo alcuni, 25mila persone, ha comunque provocato suicidi, carcere preventivo a go-go e l’eliminazione di un’intera classe dirigente. Che dice Borrelli nel 2011? Leggete il libro Eutanasia di un potere di Marco Damilano, attuale direttore de l’Espresso. C’è nelle ultime pagine una dichiarazione del “grande magistrato”: “Chiedo scusa per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale”.
Si aspettavano commenti e repliche di Piercamillo Davigo, ad esempio, e di altri “mastri commentatori”. Silenzio.
Beh, è vero che di Churchill ne nascono pochi in un secolo, ma persino nel comunismo cinese, quello degli anni Trenta, c’era chi faceva autocritiche drammatiche. Si ricorda Li Lisan, che criticava da sinistra Mao. Vita difficile e complicata, ma almeno senza ipocrisie.