Oggi sciopero generale dei lavoratori metalmeccanici. Incroceranno le braccia per otto ore e si raduneranno in tre manifestazioni, a Milano, Firenze e Napoli. Non avveniva da dieci anni una protesta unitaria di tali dimensioni, e la latitanza di iniziative del genere è forse la vera notizia, visto che il lavoro è ormai da decenni la principale emergenza del Paese.

Le situazioni di crisi industriali aperte sono 150. Il dato è fornito dai sindacati, dato che con l’attuale governo non esiste più una lista ufficiale dei tavoli di crisi al ministero dello Sviluppo economico. I lavoratori coinvolti sono 210 mila e lavorano in imprese che per il 35 per cento rischiano di chiudere. Per i metalmeccanici si parla di una produzione al ribasso del 5,5 per cento, la diminuzione più forte dal 2012, dovuta al crollo del settore auto (19,4 per cento).

Negli ultimi mesi il ritmo delle notizie che riguardano imprese in difficoltà è diventato incalzante. Dall’ex-Ilva che ha annunciato la cassa integrazione per 1400 lavoratori, a Mercatone Uno il cui fallimento di fine maggio ha lasciato a piedi 1800 dipendenti e 10 mila lavoratori dell’indotto; dalla Whirlpool di Napoli, impegnata in questi giorni in un braccio di ferro con il governo, alla Unilever che ha deciso di produrre i dadi Knorr in Portogallo, alla Pernigotti i cui 92 dipendenti sono senza stipendio dal mese di febbraio e che solo pochi giorni fa hanno ottenuto la firma per avere la cassa integrazione. 

Non è chiaro attraverso quali strade l’attuale sistema produttivo e quindi sociale supererà la fase di crisi in cui si trova. Da più parti si alzano voci che denunciano non solo l’ingiustizia, ma l’irrazionalità di un sistema economico che non si pone come obiettivo imprescindibile la piena occupazione e non distingue tra spesa pubblica produttiva e improduttiva (nel bilancio pubblico tra investimenti e conto corrente).

Eppure, una reale ripresa del sistema Paese non potrà che passare da un rilancio del lavoro, in tutti i suoi aspetti: piena occupazione, tutele, qualità, formazione.

Il tasso di disoccupazione in Italia oscilla ormai da anni intorno al 10 per cento e si attesta su livelli drammatici per il mondo giovanile (circa il 30 per cento). Inoltre, il rapido progresso tecnologico, unito al cambiamento delle competenze professionali e alla frammentazione in parti o processi della produzione, fa sì che il quadro sia ancora più incerto e sfuggente, rendendo il cambiamento un’esperienza strutturale, sia per decisioni unilaterali delle imprese (che prediligono sempre più i contratti a termine e flessibili rendendo purtroppo la precarietà uno stato da cui è difficile uscire), ma anche per volontà dei lavoratori che desiderano crescere e ampliare le proprie esperienze professionali.

In un mercato tanto mutevole, dove la stabilità è un obiettivo che va perseguito ma è sempre più problematico, e in attesa – si spera non vana – che le regole del sistema cambino a favore di un’economia più attenta alle esigenze delle persone, i lavoratori devono poter continuare a essere tutelati. E per queste ragioni il sindacato dovrà rivedere la sua funzione e la sua strategia.

Innanzitutto, di fronte al dilagare del precariato, il centro dell’azione sindacale si sta spostando sul percorso del singolo lavoratore che diventerà sempre più personalizzato. Laddove la discontinuità è un dato di partenza, bisogna operare per migliorare la formazione, valorizzando le persone e cercando di abbattere le disparità legate alle forme contrattuali. L’obiettivo finale rimane naturalmente la stabilità, ma attraverso la crescita di consapevolezza e preparazione dei lavoratori.

In secondo luogo, i sindacati devono tornare a essere un luogo di aggregazione, svolgere appieno il loro ruolo di corpo intermedio. Diventerà sempre più decisivo, non solo la competenza nell’affermare i diritti dei lavoratori, ma anche il rapporto umano con persone che condividono il percorso professionale.

Avere un posto in cui poter incontrare altri che fanno la stessa esperienza, in cui confrontarsi e trovare aiuto, e in cui poter mettere a fuoco i passi fatti e la strada ancora da fare, si sta manifestando come condizione essenziale per supportare lo sviluppo della professionalità delle persone, vero elemento che può garantire la partecipazione al mercato del lavoro.