Non fosse veramente morto per noi, domandarglielo sarebbe quanto meno lecito: “Che considerazione hai di noi, Dio-santo?”. Il problema, anche con Dio, è capirsi: perché ogni merlo crede di aver messo nel becco un significato capitale, che solo lui capisce però. L’altro merlo gli ribatte qualcosa senza attinenza con quanto appena detto: “Un dialogo tra sordi, una conversazione senza capo né coda. I dialoghi umani sono qualcosa di diverso?” (I. Calvino).
Che Iddio sia Dio e l’uomo sia mortale, nessuno dubita: nessuna creatura vedrebbe la luce senza la disarmante passione di un Amore che le dona vita. Ma sono quelle parole lì, all’indomani della spintonata della Pentecoste, a rattristare gli animi: pensavamo d’essere maturi, d’aver ottenuto l’indipendenza, d’esser pronti a salpare da soli. Invece tutto rallenta: una frenata brusca, fulminea, inaspettata. La coperta, d’un tratto, sembra esser diventata piccola: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”. Detto così. Quindi se ne è andato via tenendoci nascoste delle cose: vuoi per incapacità di intendere, per una sorta di tutela o di quant’altro, fatto sta che non ci ha detto tutto mentre era quaggiù a svangare la nuda ferialità della terra. È stato un Dio bugiardo, allora?
Figurarsi, è un Dio rispettoso dei ruoli. Non nutre smanie di protagonismo, sa molto bene che ciascuno, a casa sua, ha un compito: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. In casa sua, la casa della Trinità, ognuno sa fare bene il suo mestiere. Il Cristo s’è tuffato quaggiù: ritornato a casa, ha lasciato lo Spirito al lavoro, perché sviluppasse il disegno tracciato in quei trent’anni passati a battere strade comuni, fischiettare canzoni popolari, rimettere in sesto occhiate smarrite.
Un cambio gestione, allora? Giusto perché la gente, spintonata dal lurido Lucifero, inizi a chiedersi: “Chissà se la prossima che verrà sarà meglio o peggio di questa!”. Non sarà né meglio né peggio: è la medesima: “Non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà cose future”. Dunque – è quello che capiamo noi – arriverà un genio ad amministrare questa storia che più passa il tempo e più s’ingarbuglia invece che sciogliersi? No, il mistero è molto più fanciullesco, così fanciullo da essere impenetrabile da comprendere. I Tre – Padre, Figlio, Spirito – sono il medesimo Dio: “Tutto quello che il Padre possiede è mio” (cfr Gv 16,12-15). Son Dio perché sanno tenere accesa la relazione tra loro, son così eterni perché ciascuno vive dell’amore dell’altro e chi vive d’amore nessuna morte lo potrà mai ammazzare. Sono così invincibili perché han capito che un Dio da solo è un Dio destinato a morire: non c’è amore in grado di stare in piedi da solo. Uniti si vincerà. Di più: si risorgerà.
Fu così dall’inizio, anche se noi lo scopriamo adesso: certe cose diventano chiare solo quando si diventa grandi. Fare nascere l’uomo non fu uno sfizio del Padre, un’improvvisata. Ci fu una riunione familiare: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (cfr Gen 1,26-28). Il verbo al plurale, sei mani all’opera, nessuno decise nulla da sé solo. Non badarono solo all’immagine: lo zigomo, la punta del naso, i lineamenti. Ci tennero molto anche alla somiglianza: che l’uomo diventasse la copia perfetta del Padre. Che l’uomo, guardando l’uomo, dicesse: “È tutto Dio”. Dio che assomiglia all’uomo: era il Paradiso, lo ritornerà ad essere. Quando, per invidia del Bastardo, l’uomo perse la somiglianza, tentò d’essere felice da solo, elogiando la solitudine: “Ci son momenti di solitudine – scrive Alda Merini – che cadono all’improvviso come una maledizione, nel bel mezzo di una giornata. Son i momenti in cui l’anima non vibra più”. La Trinità è porto aperto: l’uomo, senza relazioni, muore d’asfissia. Perde i lineamenti di suo Padre e, perdendoli, va raccontandosi che esser da soli è bello. Quand’invece una certa solitudine è bella quando hai qualcuno a cui dirlo che è bella. Quant’è complicato il Dio-Uno-Trino cristiano: complicato come l’amore. Altro che un discorso tra merli.