Ora che l’argomento è emerso prepotentemente fino addirittura a minare le basi dell’accordo di governo, si rivela quanto mai indovinata la scelta del 24 ottobre scorso, data della prima riunione di approfondimento sul tema promosso da presidente dell’Unione Industriali di Napoli. Sicuramente tra i primi a raccogliere l’appello del prof. Viesti, segnalare la straordinaria importanza dell’accordo che si andava concludendo tra alcune Regioni del Nord e il Governo italiano, accordo ormai a tutti noto con il nome di “autonomia differenziata”.
Eravamo davvero in pochi, e ricordo in questa sede con molto piacere, che accanto ad alcuni economisti meridionalisti come appunto Gianfranco Viesti, Adriano Giannola, Marco Esposito, un giornalista come Sergio Rizzo ed un costituzionalista del calibro di Cesare Mirabelli, era seduto il professor Giorgio Vittadini, esponente di un apparente distratto Nord, ma veemente assertore dei principi di solidarietà e unità nazionale con il Mezzogiorno al centro di ogni progetto di sviluppo. Partì allora l’azione per risvegliare l’attenzione di tutte le forze politiche presenti in Parlamento su quel punto del “contratto di governo” che assegnava di fatto al Governo in carica il compito di redigere questo “accordo tra Stati”. Abbiamo cercato di far capire che si stava adottando una procedura insolita e mai applicata prima, e in cui era evidente il ruolo marginale che avrebbe avuto lo stesso Parlamento.
Se aggiungiamo a questa considerazione generale che sono dello stesso partito, cioè la Lega, i governatori di due delle tre Regioni proponenti, il capofila della richiesta (il Veneto) sicuramente a svolgere il ruolo del più intransigente, i ministri con le deleghe a rappresentare lo Stato italiano nella trattativa, i presidenti delle commissioni della Camera e del Senato, ci rendiamo conto dello scarso livello di partecipazione democratica con cui si stava prendendo decisioni molto importanti.
Abbiamo avvertito quindi la necessità di produrre un documento di proposta che potesse disegnare una “Autonomia possibile”, entrando nel merito delle questioni con competenze conclamate, nel rispetto delle leggi in vigore, e partecipando la proposta a tutte le principali istituzioni in anticipo alla fatidica data del 15 febbraio di quest’anno. La riflessione viene allargata e molto più partecipata, e comincia a raccogliere qualche valido contributo di idee, in un contesto meno “pressante”.
Poi succede che, dopo il voto europeo, il dibattito entra di nuovo nel vivo con una brusca accelerazione. Hanno cominciato a parlarne in modo esteso e preoccupato anche importanti settori della cultura e dell’economia nazionale, e la materia è stata avocata dal Presidente del Consiglio.
E oggi, finalmente aggiungerei, è lo stesso Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (Dagl) della Presidenza del Consiglio dei ministri che, in un appunto indirizzato al presidente Conte, sottolinea le numerose criticità degli schemi d’intesa definiti per l’autonomia delle tre Regioni in questione.
È proprio di questi giorni la notizia di un nuovo aspro braccio di ferro tra le forze politiche contraenti il “contratto” sul merito dell’accordo. Anche se tardivamente, va riconosciuto ai rappresentanti del Movimento 5 Stelle di aver modificato la loro posizione iniziale, che era di fortissima sottovalutazione delle ricadute di un tale accordo sulle condizioni del Mezzogiorno.
Ci sono materie assai delicate come la sanità, la scuola, i trasporti pubblici, dove non bisogna essere economisti per capire che una politica che accetti come norma la “differenza” rende incolmabili gli attuali divari, sancisce senza possibilità di appello la distanza tra le due aree del paese come strutturale ed immodificabile, condanna 20 milioni di italiani a consolidare, senza speranza, livelli di vita già assai differenti.
L’altro giorno il governatore del Veneto ha imperversato in diverse trasmissioni radiotelevisive con lo scopo di sostenere le ragioni a favore di una rapida firma degli accordi. Ha ripetuto quelli che ritiene essere i suoi cavalli di battaglia: la capacità di amministrare del Nord non può essere sacrificata per stare indietro ad un Sud arruffone e incapace di autogovernarsi (nella migliore delle ipotesi). “L’autonomia – sostiene Zaia – è una grande opportunità per il Sud per liberarsi di una classe dirigente di cialtroni!”.
A testimonianza di tale convincimento e a riprova del buon governo di cui si considera interprete, ha espresso il proprio entusiasmo per i recenti successi del Veneto, come l’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 (risultato condiviso con Milano, ad essere precisi e di cui tutta l’Italia è orgogliosa) e il riconoscimento Unesco per le colline del “Prosecco” come patrimonio dell’umanità. Insomma, Zaia insegue il sogno di un “triplete” per il suo Veneto e vuole ad ogni costo portare a casa l’autonomia promessagli.
Anche in questo caso, così come all’incirca un anno fa, l’invito a considerare L’Italia nel suo insieme mi sembra davvero responsabile e doveroso. L’illusione di una Italia a due velocità ci ha condotto su una china pericolosa, dove accanto ad una crescita produttiva insignificante abbiamo gettato le basi di una crisi profonda della coesione sociale e sancito la fine di ogni politica di solidarietà, degna di un grande paese quale noi siamo.
Io sono tra quegli esponenti del Sud che pensano che spetta a noi fare di più e meglio.
Che non bisogna aspettare soluzioni dall’esterno.
Che il Sud ha energie enormi sottovalutate innanzitutto da noi stessi, e che se sapessimo cogliere le nostre occasioni sapremmo dimostrare a tutti di saper stare al passo con il mondo che cambia e competere a qualunque livello sul piano dell’efficienza.
Non deleghiamo alla politica quello che la politica non potrà mai fare e cioè sviluppare quella cultura d’impresa, di creatività, di propensione al rischio, di capacità di gestione e di inseguimento del proprio ambito di libertà, che appartiene a tanti di noi e che potranno costituire la base per vere politiche atte a migliorare le condizioni di vita per tutta la comunità ed implementare il lavoro con la L maiuscola.
Ma questo sforzo degli attori quotidiani della società civile non può affermarsi al di fuori di un quadro di difesa dell’unità del Paese, della competitività di tutto il proprio territorio, del suo ruolo internazionale in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo, della capacità di attrarre investimenti ed energie nuove, oltre che di trattenere le proprie eccellenze e le generazioni future.
Il Mezzogiorno resta una potentissima leva di sviluppo per tutta l’Italia, ogni centesimo speso con questa finalità ritorna alla parte più ricca per oltre il 50% e genera prospettive di rilancio impensabili senza.
Al contrario, un Paese che si rinchiude nella difesa di ambiti locali e nella tutela della politica del più forte, non solo non cresce ma risulta anche poco attrattivo e alla fine è destinato a soccombere.