Hanno salutato i loro quattro amici ventiduenni morti nell’incidente stradale di Jesolo con il rock, nella calda mattinata di giovedì (lavorativo) scorso, a Musile sul Piave. Nello stadio gremito da 5mila persone che hanno sentito il bisogno di fare tutto quello che è umanamente possibile: e cioè esserci. Esserci davanti alle quattro bare, bianche come le migliaia di palloncini destinati, anch’essi, al cielo. Esserci davanti all’assurdo della morte: volenti o nolenti, davanti al mistero.
Cosa c’entrano Vasco Rossi e, addirittura, i mitici Creedence Clearwater Revival, con il dolore della perdita e l’enigma definitivo della morte? E perché hanno scelto quegli autori e due loro canzoni (Il senso e Have you ever seen the rain) invece di un religioso de profundis o di qualche robetta di adesso che si canta in chiesa, o al limite di una laica sempre decorosa marcia funebre? Mi sono trattenuto dal cavarmela con una risposta da Vecchio Saccente. Tipo: il rock non c’entra nulla e i ragazzi seguono l’andazzo della moda.
Per prima cosa, un occhio ai testi. I want to know… “Voglio sapere, hai mai visto la pioggia cadere giù in un giorno di sole? Il sole è freddo e la pioggia è dura. … È stato così per tutto il mio tempo”. È il 1970, è in corso la guerra del Vietnam. Ma la canzone scritta dal leader del gruppo rock americano, John Fogerty, non allude alla pioggia di napalm sui viet-cong (come certi critici hanno voluto interpretare) ma parla della tristezza della fine dell’esperienza del loro gruppo. La tristezza della fine. Esattamente come intendeva tristezza Tommaso d’Aquino: “Desiderio di un bene (ormai) assente”.
E Vasco? “Voglio trovare un senso a questa vita” (a questa serata, a questo amore, a questa passione erotica, a questa circostanza, a questa condizione, a tante cose…). E poi: “Anche se questa vita (eccetera, come sopra) un senso non ce l’ha”. Un pendolo irrisolto ma che non cessa di riproporsi tra senso religioso e nichilismo.
Non è da credere che gli amici delle vittime si siano sobbarcati tutti questi ragionamenti. Semplicemente, immagino, hanno sentito riecheggiato ed espresso in quel rock qualcosa che gli veniva su dal profondo del cuore, che esprimeva l’inesprimibile.
Ha scritto John Waters, giornalista, scrittore e grande esperto appassionato della materia: “Ciò che attira i giovani a questa musica deve avere almeno qualche connessione con la vera sorgente del desiderio umano e con la natura del destino dell’uomo. Il fuoco sarà sugli artisti, ma ancor più sulle canzoni. Una grande canzone contiene sempre un’interpretazione che penetra più profondamente dei tentativi di veicolare la stessa idea o intuizione in semplici parole. Nel suo intreccio di parole e musica, ritmo e personalità, la canzone arriva in un luogo non accessibile con altri mezzi. Una canzone è in grado di essere al contempo sia un grido di impotenza, sia l’espressione di qualcosa che si è compreso a fondo, forse già profondamente condiviso, ma forse non esprimibile in altro modo”.
Io credo che il cuore di quei ragazzi abbia affidato alle musiche rock il proprio grido di impotenza che è al contempo un grido di mendicanza e di preghiera. La stessa cosa che la grande Adriana Mascagni ha scritto così in una sua celebre canzone: “Povera voce di un uomo che non c’è, la nostra voce se non ha più un perché. Deve gridare, deve implorare che il respiro della vita non abbia fine”.
Bisogna pure che chi ha la domanda la rivolga a qualcuno. Uno dei ragazzi morti era tifosissimo del Venezia calcio. Ecco, proprio ieri dei tifosi del Bologna, più di un centinaio, hanno dato esempio: sono andati in pellegrinaggio alla Madonna di San Luca a pregare per Sinisa Mihajlovic, allenatore della loro squadra, e per tutti i malati come lui di leucemia: “O Padre, che con fiducia, speranza e coraggio accettino la Tua Volontà che premia sempre, qui ora e in eterno”.
Allora il grido può trovare una risposta. La canzone di Adriana suggerisce la risposta: “Poi deve cantare [la voce], perché la vita c’è. Tutta la vita chiede l’eternità… Non è povera voce di un uomo che non c’è, la nostra voce canta con un perché”. La risposta, se arriva come un bel giorno, può essere una persona, un gesto, una compagnia in cui il Mistero manifesta tratti del proprio volto buono. Come i tifosi del Bologna. O i cinque muratori kosovari che si sono buttati in acqua per tentare di salvare i ragazzi italiani. Segni di qualcosa di più grande.
La risposta non viene da un discorso. E nemmeno da una parodia giovanilistica, o associazionistica, o spiritualistica, o moralistica, o attivistica – in una parola: politico-clericale – del cristianesimo. Dove l’umano è ridotto a ruolo e Gesù a ologramma. E dove perciò a 22 anni, se non lo si è già fatto prima, si dà l’addio agli ambienti cattolici cosiddetti. Ma vuoi mettere il rock con certe canzonette clerico-sentimentali di retroguardia?