La cosiddetta “giornata della verità”, quello che veniva chiamato il “momento del giudizio”, preparato con scrupolosa attenzione da diversi media, si è rivelato di nuovo il perenne rinvio di una crisi sempre attesa e che non arriva mai. Adesso, nel petulante e aggressivo chiacchiericcio di un Parlamento, che definire includente è limitativo, si è conclusa una sceneggiata che si può paragonare solo a un eterno “deja vu”.
Poiché nell’epoca dell’antipolitica tutti si aggrappano a citazioni colte (per quanto possono) vengono lanciati paragoni quasi dannunziani, quindi immaginifici. Ed ecco quindi “Molto rumore per nulla”, “Le baruffe chiozzotte”, addirittura grandi film come “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”. Ma la realtà è che in questo caso siamo a una comparsata che termina con l’annuncio di una mozione di sfiducia da parte del Pd nei confronti di Matteo Salvini. Con una dura sostanza di fondo: nessuno dei parlamentari della Repubblica (terza, quarta, quinta? Boh!) ha voglia di andare a votare, di sciogliere le Camere e trovare una maggioranza degna di questo nome. Prendiamone atto, questa è la realtà della Repubblica italiana, nonostante tutte le manovre o manovrine che in diversi parti importanti del Paese si cerca di imbastire per avere quello che la vulgata dice “un nuovo quadro” politico.
Veniamo alla cronaca possibile di giornate “concitate” per definizione mediatica. Settimana scorsa viene annunciato che il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, avrebbe affrontato al Senato domande sul “Russiagate”, sul malloppo che la Lega avrebbe potuto prendere da una trattativa petrolifera di Gianluca Savoini con altri due italiani e tre russi. Immediatamente si scatenano gli analisti e preannunciano tempesta nel Governo tra Conte, uomo “pentastellato”, e i leghisti. “Il giorno del giudizio” esce dai media per il programmato intervento di Conte.
Che cosa succede? Martedì sera il “pentastellato” Conte dà la più dura mazzata al movimento di Grillo negli ultimi dieci anni. Dice niente meno che la Tav, la famosa e celebre Tav che ha segnato una generazione, quella che “forse” un compianto, a questo punto, Saddam Hussein, avrebbe definito la “madre di tutte le battaglie”, deve essere realizzata. Giuseppe Conte ha fatto piangere milioni di “grillini”. Subito c’è lo sgomento e poi il sintomo che una “Tav val bene un governo”.
Conte era diventato “abbastanza benvoluto” in questi ultimi tempi dai grandi media, ma parlando prima alla Camera di “inevitabile realizzazione della Tav” e poi al Senato di “Russiagate”, non delegittimando di fatto e nella sostanza il ministro dell’Interno, sollevando solo qualche dubbio sulla sincerità di Salvini nella ricostruzione della sua amicizia con Savoini, ha perso di nuovo appeal, è ritornato una comparsa in una “compagnia da avanspettacolo”.
Di fatto, al momento, Giuseppe Conte ha salvato il suo Governo, prolungando un tormentone che dà l’impressione di allungarsi giorno dopo giorno con una sofferenza esistenziale generale. La grande sceneggiata ovviamente di ieri è stata per certi aspetti surreale. Quando Conte parlava alla Camera sulla Tav, i deputati leghisti impazzivano dalla gioia e si spellavano le mani. Al Senato, irritati dal nuovo Conte-Tav e forse per dimostrare il loro dissenso per l’assenza in aula di Salvini, i senatori “grillini” sono usciti dall’aula, lasciando vuoti i seggi mentre parlava il loro presidente del Consiglio. Ma il nervosismo e le proteste non sembravano avare una grande risonanza. Insomma, la maggioranza non è stata incrinata. È solo una maggioranza triste e inconsistente. Il “giorno del giudizio” alla fine ha permesso a Matteo Salvini di ritornare alla sua strafottenza, con una dichiarazione irridente e irritante da un punto di vista politico istituzionale.
Purtroppo, questo è il nostro pensiero, di fronte a questo bullismo salviniano non sembra esserci nessuna adeguata resistenza. Si pensi solo alle divisioni interne al Partito democratico anche in una circostanza come questa. Mentre Matteo Renzi e Dario Franceschini si dividevano, si è arrivati al punto, per mediare all’interno del partito, di non far parlare il vero capogruppo dei senatori del Pd al Senato, ma un sostituto competente in “Russiagate”, Dario Parrini. Alla fine il massimo che si è partorito è stata la mozione di sfiducia firmata da Matteo Renzi, Maria Elena Boschi e Nicola Zingaretti, che tenta mediazione su tutto e con tutti. Con una voce sottobanco che gira negli ambienti politici: nel Pd c’è già chi pensa a sostituire Zigaretti.
La coda di un’altra giornata da dimenticare politicamente è poi rappresentata da interventi diretti via internet di Renzi, Salvini e “giggino” Di Maio. Spettacolo desolante visto in televisione. Era meglio “Cime tempestose”, con la terrorizzante Grace Poole