La doppia nomina europea di grande importanza, la prima alla Presidenza della Commissione nella persona di Ursula von der Leyen, e l’indicazione di un’altra donna, Christine Lagarde, al vertice della Banca centrale europea al posto di Mario Draghi, dal prossimo autunno, mettono fine a giorni e a lunghissime ore di trattative per trovare un minimo di ordine e raggiungere un accordo accettabile nell’Unione europea uscita delle urne il 26 maggio.

C’è pure un incrocio e un incastro di nomine che porta l’esponente del Pd italiano, David Sassoli, a diventare Presidente, nuovo speaker del Parlamento, al posto di un altro italiano, Antonio Tajani. Ed è questa una continuità che è confortante e piacevole per l’Italia in questo momento. Ma il tutto resta abbastanza confuso e concitato e appare come una sorta di “tampone” a una crisi di credibilità che sembra destinata a continuare e non solo per le stravaganze salviniane e del Governo italiano.

L’assestamento raggiunto, con la successiva nomina dei commissari che si dovrà fare, è sembrato veramente un gioco pericoloso, sul “filo del rasoio”, dove tra acrobazie e “nomi usciti dal cappello” sono stati prima respinti i candidati che erano stati indicati da un accordo che era già stato piuttosto complesso.

Siamo perfettamente in linea con quanto ha scritto Antonio Polito, con un commento di rara lucidità: le elezioni, “pur non essendo state vinte dai populisti, non sono state vinte dai partiti storici, popolari e socialisti. Di conseguenza oggi manca un baricentro, e si vede. Ciò rischia di peggiorare, se è possibile, i più gravi problemi di governance che da tempo affliggono l’Unione”.

Certo, il gioco delle due cariche più prestigiose rispetta sempre, formalmente, l’asse trainante franco-tedesco, ma ci sono una serie di Paesi, ben undici, tra cui due, che fanno insieme quasi 100 milioni di europei, l’Italia e la Polonia, che sembrano quasi andare per conto loro, con in più ribelli del gruppo di Visegrad che, realisticamente sembrano addirittura un’altra Europa, e servono, spesso, per spostare equilibri e compromessi poco accettabili all’interno stesso dell’Unione europea.

Di fatto l’asse franco-tedesco ha certamente battuto un colpo, ma lascia dietro di sé alcune ferite e una somma di tensioni che verranno ben presto a galla, se non stanno già avvenendo. Troppo tortuoso il primo piano e il primo accordo che è ovviamente saltato. Per compiacere ai socialisti, che in gran parte dell’Europa sono in palese difficoltà, si è pensato in un primo momento alla nomina dell’olandese Frans Timmermans, il laburista che ha sconfitto i populisti olandesi.

Il piano era nell’agenda di Angela Merkel, ma l’accordo è appunto diventato inattuabile. Si è cercato a quel punto di ripetere il vecchio schema, guardando al primo eletto della forza di maggioranza relativa, il tedesco Manfred Weber della Csu, ramo bavarese della Cdu. Ma anche questo tentativo di accordo è naufragato.

Sembrava quasi che non si volesse ammettere che la vecchia maggioranza si era dovuta allargare, per fare di nuovo maggioranza, ai liberali e ai “verdi”, tutti europeisti convinti, ma con le loro legittime pretese di rappresentanza. A questo punto, come in un gioco di prestigio, è saltato fuori il nome di Ursula von der Leyen, che non era candidata al Parlamento europeo, ma è stata un ministro storico dei governi tedeschi di Angela Merkel: qualcuno la definisce quasi un suo “clone”, al punto tale che la Merkel può anche appoggiarla astenendosi sulla sua candidatura per mostrare che è coerente con gli impegni presi.

La prima immagine della Commissione appare adesso, dopo ben quattro summit, in modo complicato e riserva qualche sorpresa. Dopo von der Leyen e la “regina” del Fondo internazionale, Lagarde, ecco già l’accordo sul belga Charles Michel (un liberale) al Consiglio europeo e lo spagnolo socialista Josep Borrell come Alto Rappresentante. Ma da quanto si è saputo il “pacchetto” di nomine ha già scatenato un mezzo pandemonio all’Europarlamento. I “verdi”, che sono stati l’autentica rivelazione delle ultime elezioni europee, pare che si siano sfilati in modo netto non solo dalle nomine, ma dall’accordo di “governo europeo”. La tedesca Ska Keller ha fatto una dichiarazione al vetriolo: “Dopo giorni di discussione è grottesca questa intesa dietro le quinte che non soddisfa altro che i giochi di potere e di partito. Questo non è ciò che i cittadini europei meritano”.

Insomma, secondo alcuni commentatori, la nuova maggioranza perderebbe i pezzi prima ancora di cominciare. Ma non è tutto. Il malcontento non riguarderebbe solo il gruppo degli ecologisti. Ieri sera a Strasburgo si parlava di grande nervosismo all’interno del gruppo socialista-democratico, un forte malumore per l’accordo raggiunto a Bruxelles. Insomma, i socialisti considererebbero che la carica di Alto Rappresentante per il partito che, in ogni caso si è piazzato secondo alle elezioni del 28 maggio, sarebbe un riconoscimento troppo limitato, tanto più dopo il “siluramento” di Timmermans alla presidenza della Commissione.

Dunque, i “veleni” e le ferite ci sono già, come si è visto dopo l’accordo di ieri. C’è addirittura chi azzarda che, ancora adesso, “nulla può essere dato per scontato”, anche l’approvazione dei nuovi candidati dopo la posizione presa dai verdi e i malumori dei socialisti. C’è infine chi fa notare che l’asse franco-tedesco regge sempre, ma all’interno del “governo” europeo i francesi sono come spariti e sembrano concentrati solo sulla Bce e sui flussi di denaro, operazione in cui la Lagarde è una grande esperta. Ma tutto questo, compreso una spartizione di funzioni tra Francia e Germania, con un accordo tanto schematico, quali problemi pone realisticamente all’Europa del futuro?

Se non siamo sul “filo del rasoio”, poco ci manca. Sperando comunque che non si avveri il titolo del penultimo numero della rivista Limes: “Antieuropa, l’impero europeo dell’America”.