Resta impossibile sintetizzare un’edizione del Meeting di Rimini. Ma se al suo 40° compleanno è ancora fresco è perché ha aperto un orizzonte di conoscenza a tutti i partecipanti (ecco perché ha smosso libertà). Un orizzonte in cui la più lucida occhiata non fa che evidenziare – e non è poco – l’insufficienza di una risposta alla crisi con un’etica basata sui principi universali astratti posti in essere dall’Illuminismo o con una riforma e un rafforzamento delle istituzioni. È inutile cercare luoghi sicuri, rifugi, opzioni presumibilmente ispirate al Medioevo. Lo ha evidenziato con ironia una delle migliori mostre di quest’anno – Bolle, Pionieri e la ragazza di Hong Kong, dedicata agli Stati Uniti. Nella mostra è stato citato un noto articolo di DeLillo in cui si leggeva che viviamo in una posizione di pericolo e rabbia. L’articolo era stato scritto per definire la situazione dopo l’11 settembre, ma è ancora attuale. “E quindi? Non chiedermelo”, diceva DeLillo. Possiamo ancora chiedere o cercare una risposta su ciò che ci accade, sul futuro?
Quello che tutti vogliamo è capire cosa succede al mondo e cosa ci succede. Al Meeting si è parlato, non potrebbe essere altrimenti, delle perplessità causate dalla globalizzazione, della crisi della democrazia, delle sfide dell’intelligenza artificiale, delle ultime scoperte della neuroscienza, dell’Islam dopo la sconfitta dell’Isis, della sostenibilità del pianeta. Non ci sono state conclusioni chiuse. Le risposte non possono essere immediate, le sfide di un mondo in trasformazione sono complesse. Ma ciò che ha dato al Meeting di Rimini forza speciale è averci aiutato a capire la crisi dell’io.
La spiegazione del tema puntava in questa direzione citando una lettera del poeta spagnolo Federico García Lorca: “Ora ho scoperto una cosa terribile (non dirlo a nessuno). Io non sono ancora nato. Staremo a vedere se nasco”. “Questo desiderio di nascere di nuovo può portare all’incertezza di non sapere chi si è, di sentire ferocemente la mancanza di identità. La perdita del sentimento della nascita, dell’unità donata dal primo palpito, li conduce a una scomposizione in frammenti diversi”, è stato detto alla presentazione in cui è stato portato come esempio la canzone “Twenty four” degli Switchfoot. I nostri giovani, noi stessi, viviamo scomposti nei 24 frammenti delle 24 ore del giorno.
Con lucidità lo ha sottolineato Greg Lukianoff, l’autore di “The Clodding of the American Mind”, che ha trascorso anni a studiare le disfunzioni cognitive degli studenti americani nei campus universitari. Queste disfunzioni, tra le altre cose, includono l’intolleranza, il carattere catastrofista, l’assolutizzazione dell’emotività o la divisione del mondo tra buoni e cattivi.
Senza rimettere insieme i 24 frammenti in cui la vita si scompone non c’è via d’uscita. Senza questa ricostruzione del soggetto, la democrazia sarà sempre meno stimata, il valore dell’altro finirà per dissolversi. Senza un soggetto integro non ci sarà energia per intraprendere, innovare, mantenere la dignità della ragione, affrontare le sfide di un mondo che non si risolvono con formule e dottrine. Olivier Roy, uno dei più soldi intellettuali francesi, lo ha sottolineato in uno dei primi dibattiti: “Il nichilismo, il fascino della morte, non solo attira gli jihadisti, ma anche i giovani americani e i giovani europei”.
In cosa consiste la ricostruzione del soggetto? Come può nascere un’identità all’altezza delle sfide? Queste sono state le domande ascoltate insistentemente a Rimini la scorsa settimana. Alcune figure, alcuni testimoni del passato e altri del presente, alcune storie particolari, hanno fornito degli spunti. Delle 20 mostre preparate per questa edizione del Meeting di Rimini, una è stata dedicata a Václav Havel. Un Havel più vivo che mai ha indicato, attraverso uno dei suoi scritti, che da lungo tempo il problema non si formula in termini di categorie ideologiche, il problema è se si riesce a riabilitare l’esperienza personale come criterio originale delle cose, il problema è restituire un senso della comunità umana in modo che il punto focale dell’azione sociale sia un io umano, integrale e degno perché è in relazione con qualcosa che si trova al di sopra di lui.
Le voci di Havel, di Etty Hillesum, di alcuni imprenditori sociali in un Venezuela devastato, degli psicologi che hanno assistito i bambini concepiti con la forza dagli jihadisti stranieri ad Aleppo, degli scienziati che rivendicano ora più che mai il valore dell’umano nel pieno dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, dei giovani volontari che hanno trascorso giorni e notti a lavorare per mantenerlo in piedi, sono state ascoltate al Meeting di Rimini. Voci e facce concrete.
I visitatori se ne sono andati con una domanda più urgente di quella che avevano portato: ci sono volti, concreti che, guardandoli, ci permettono di soddisfare il desiderio di Federico García Lorca, il desiderio di tutti? Questi volti che abbiamo visto hanno la capacità di generare un soggetto all’altezza delle sfide? Come dice James Baldwin, se ti innamori di una ragazza di Hong Kong, Hong Kong sarà immediatamente il centro della tua vita.