Un’ulteriore prova. Lo scontro negli ultimi giorni tra il Primo ministro britannico Johnson e il Parlamento di Westminster è un’ulteriore prova di come il progresso in materia di democrazia e sovranità non sia lineare. Le conquiste che si sono raggiunte possono a un certo punto essere perdute. Lo ha sottolineato con lucidità Tom Burns nello spiegare che al fondo la questione Brexit pone in discussione “la narrazione liberale ascendente e ottimista”. Una narrazione che parte dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688 e dalla Costituzione degli Stati Uniti, che dà per assodate le formule per rendere effettivo il contratto tra governanti e governati.

Quale è la base della Brexit? Una discussione senza fine sulla rappresentanza del popolo sovrano e sulla sovranità, che pareva invece risolta. “Da un lato, c’è un chiaro mandato popolare per uscire dalla Unione Europea, dall’altro, c’è un’assemblea rappresentativa che si oppone a una Brexit in cui non siano definiti i termini dell’accordo con l’UE.”, spiegava la settimana scorsa su The Atlantic Yascha Mounk, autore del libro The People versus democracy. Mounk segnalava che “Johnson si presenta come il campione che attuerà la volontà popolare a qualsiasi prezzo, volontà di cui si considera l’interprete”. La partita è piena di trappole, perché il referendum non specificava come si doveva uscire dalla UE, ma nell’attuale scontro questo argomento viene trascurato.

Il fatto è che nel Regno Unito, come in alcuni altri Paesi di Europa, si è visto recentemente un conflitto tra la supposta volontà del popolo espressa attraverso la democrazia diretta e la volontà della maggioranza, incarnata nei parlamentari. Il Parlamento britannico, dice Johnson insieme a molti altri, non dovrebbe impedire che si attui ciò che il popolo sovrano ha deciso. Il problema diviene il Parlamento, ponendo così in discussione l’evidente valore della democrazia rappresentativa come formula per incanalare la sovranità popolare, uno dei grandi fondamenti dei nostri sistemi costituzionali.  

Il “sovranismo” del popolo britannico, di fronte al suo Parlamento, è solo una delle molte reazioni di chi rivendica, in questi tempi di globalizzazione, un ritorno al “potere popolare” e alle attribuzioni proprie degli Stati come furono definiti nella Pace di Vestfalia. Questo sarebbe necessario perché la politica recuperi dignità e la gente possa disporre del protagonismo che le è proprio. Da un lato si reclama potere per il popolo, dall’altro si chiede con nostalgia una sovranità piena degli Stati. Il rimpianto di una sovranità “come quella di prima” porta alcuni ad abbracciare la teoria di una specie di cospirazione neoliberale. Le corporazioni e i grandi poteri economici mondiali avrebbero portato a termine un piano, alimentato dalla loro cupidigia, per abbattere le barriere commerciali e promuovere la libera circolazione di merci e capitali: il mondo del denaro contro la gente.

E’ un dato che la sovranità degli Stati si è molto diluita ed è altrettanto un fatto che la globalizzazione, in molti casi, è una fonte di ingiustizia. E’ anche evidente la necessità di recuperare istanze politiche capaci di regolare, ordinare e controllare mercati che non risolvono tutti i problemi e a volte li creano. E’ però anche un dato di fatto che la apertura commerciale genera più ricchezza del protezionismo e che la libertà di circolazione di capitali, merci e persone, opportunamente regolata, genera più prosperità per le persone. Le vecchie forme di sovranità non funzionano più, occorre inventarne di nuove e, in questo campo, i progetti di integrazione regionale (come quello della UE) sono parte della soluzione, non del problema.

Non risolviamo nulla se rimaniamo bloccati dalla nostalgia della vecchia sovranità statale, né risolveremo nulla pensando che la sovranità popolare sia espressa meglio dalla democrazia diretta. La democrazia diretta, con referendum vinti per due o tre punti percentuali, è la formula migliore affinché le fake news, la disinformazione e i poteri che stanno dietro finiscano per imporre la loro volontà.

Il concetto di sovranità popolare che abbiamo in mano, probabilmente, è un’idea secolarizzata dal razionalismo della sovranità di Dio. Le modalità nelle quali questa sovranità deve esprimersi, concretizzarsi e prendere corpo è stato stabilito a partire dalle rivoluzioni liberali fino alle Costituzioni elaborate dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per evitare la assolutizzazione del sovrano, o adesso del popolo, la regola della maggioranza non è l’unica regola. Si esigono maggioranze rafforzate, si valuta il peso delle minoranze, si rinforza il valore deliberativo dei parlamenti, si limita la capacità di governare per decreto, si rafforzano le Corti costituzionali, e via dicendo: una vasta storia di progressi democratici che ora sembrano essere inutili.

E’ possibile che la sovranità sia stato un frutto positivo della secolarizzazione, ma ora assistiamo a una teologizzazione  della sovranità che le attribuisce caratteri religiosi. Non è per niente positivo.