Non c’è democrazia senza incontro

La democrazia non può ridursi a una risposta online: è costruzione di opere, è creazione di strumenti di partecipazione, è carità diffusa

Molto scalpore, nel bene e nel male, ha suscitato la votazione sulla piattaforma Rousseau attraverso la quale la base grillina ha approvato il governo con il Pd.

Le critiche non sono certo mancate: dai dubbi sull’attendibilità e sulla veridicità delle indicazioni che emergono dalla piattaforma, legate anche alle osservazioni a suo tempo avanzate dal Garante della privacy, fino alle perplessità su tempi e legittimità costituzionale di tale sondaggio, che secondo autorevoli esperti, tra i quali il professor Sabino Cassese, avrebbe potuto ledere le prerogative del presidente della Repubblica.

Pur prescindendo da tali critiche e ipotizzando che siano superabili, è legittima la posizione di chi come Davide Casaleggio e soci pensa che questa modalità possa rappresentare il primo passo verso il superamento della nostra forma di democrazia parlamentare?

Non sono solo pensieri isolati di una parte dello schieramento politico, visto che all’ultimo Meeting di Rimini l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha voluto mettere in guardia su un’idea di sussidiarietà e corpi intermedi datata e stanca, incapace di essere un’alternativa a queste nuove forme di democrazia diretta. Lo stesso vicedirettore del Corriere della Sera, Dario Di Vico, ha ripreso sul suo giornale queste perplessità, rilanciando la stessa domanda.

Come ripete spesso il presidente Luciano Violante, il nostro ordinamento non è basato sul voto plebiscitario: la volontà popolare è mediata. Gli elettori eleggono i loro rappresentanti al Parlamento, a cui spetta esercitare il potere legislativo. Deputati e senatori esprimono a loro volta una maggioranza parlamentare, che viene presentata al vaglio del presidente della Repubblica, il quale ha la prerogativa costituzionale di designare un primo ministro, di concerto con il quale sceglie e nomina poi i ministri. Il governo così formato deve, infine, presentarsi alle Camere per ottenerne la fiducia.

La Costituzione è chiara anche sui corpi intermedi: lo è in modo implicito nella Costituzione originale, là dove dall’articolo 2 in avanti parla delle formazioni sociali, dei sindacati, dei partiti; lo è in modo esplicito dopo la revisione costituzionale del 2001, quando è stato introdotto il principio di sussidiarietà anche orizzontale.

Si potrebbe ancora obiettare: questa è la tradizione, la storia, ma la Seconda Repubblica ruota tutt’attorno al tentativo di far fuori questa storia. Gli “uomini soli al comando” – ieri Berlusconi, Monti, Renzi; oggi Conte, Salvini, Di Maio – hanno tentato, e tentano, di saltare ogni intermediazione, parlando direttamente ai singoli cittadini, prima ancora che con i social con le televisioni e i giornali che volevano controllare. Hanno azzerato ogni forma di concertazione; hanno ignorato ogni forma di sussidiarietà orizzontale (unica eccezione virtuosa per i cittadini è stata la Lombardia di Formigoni); hanno di fatto impedito ai cittadini la possibilità di scelta dei rappresentanti, abolendo le preferenze; hanno umiliato il Parlamento, volendolo ridurre a luogo di mera ratifica di decisioni prese altrove.

Hanno ragione? Nonostante la Costituzione e la tradizione sì, se le formazioni sociali diventeranno sempre più luoghi corporativi, il cui scopo precipuo è ottenere privilegi e prebende per i loro iscritti. Difendere le appartenenze, se non si chiarisce nel merito cosa significhi appartenenza, è addirittura deleterio. Sindacati, associazioni datoriali, realtà sociali intese puramente come lobbies sono un disastro per il paese e la loro sparizione non sarebbe certo un danno per nessuno. Ma se, come si è visto proprio al Meeting di Rimini, conservano ancora il desiderio di educare e di correggere, se si concepiscono in funzione di un bene comune, sono l’unico antidoto alla decadenza del paese.

Perché la democrazia non può ridursi a un quesito, a una domanda chiusa: è una forma di analfabetismo collettivo simile a quello dei test chiusi con cui ci si illude di selezionare i migliori candidati agli studi medici.

Democrazia è dialogo, confronto diretto, incontri e discussioni frequentando luoghi fisici quali circoli, sezioni, assemblee, parrocchie. Non può certo bastare il chiacchiericcio a cui si sono oggi ridotti i talk show, che, pur spacciati per contraddittori tra opinioni diverse, si sono in realtà trasformati in zuffe dialettiche, in cui si parla solo alla pancia del paese.

Democrazia non è statalismo, di destra o di sinistra, in cui si delega ad altri la soluzione dei problemi. Democrazia è costruzione instancabile di opere, è creazione di strumenti di partecipazione, è carità diffusa, è nuova imprenditoria che si impegna per garantire lavoro, sviluppo, benessere.

Tutto il resto è precoce decadenza, perché le mode, benché urlate sui social o dai mass media, durano poco e non costruiscono nulla.

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