La stirpe degli optimates pare aver compreso la necessità di spezzare il bipolarismo storico che li contrappone con gli odiati populares, anche loro rimeditatisi e, mettendosi assieme, hanno posto al centro una nuova idea di gestione della cosa pubblica. Non più il dileggio della rozzezza e l’accusa di voler distruggere le basi della società, barattata con l’ammainabandiera dei temi anti-casta ed anti-sistema.
Cicerone, ovunque sia, si starà rivoltando più volte nella tomba al pensiero che gli amici di Catilina ora siedono assieme ai patrizi, da pari a pari. Hanno ottenuto il consolato uno per parte ed ora governano assieme.
Con il difensore del Senato romano, tanti si rivoltano a vedere Zingaretti e Di Maio lanciarsi affettuosi ammonimenti, invece di sbranarsi l’un l’altro sventolando incolmabili distanze genetiche. È un’idiosincrasia per la sintesi ed una comprensibile ansia da smarrimento di cui sono vittima soprattutto gli amanti delle addizioni da maggioritario, convinti che solo un bipolarismo strutturale funziona nel Paese per dare governabilità. Convinti che si debba prendere un voto in più degli altri come unico obbiettivo, temono che questo Governo rafforzi i barbari alle porte e sia il viatico per una stagione di regressione lunga ed irrimediabile.
In realtà il compromesso tra diversi è la base di un disgelo dei poli che irrorerà il mare del consenso e che salirà nelle pianure alluvionali del voto sino a mutare in modo irreversibile la geografia del Paese.
Una catastrofe che serve a rimettere al centro delle scelte i veri valori su cui coagulare il consenso e dare l’opportunità alle energie vive, quelle presenti nella società, di esprimersi dando vita ad una confronto reale che trovi poi la sua sintesi in Parlamento invece che alimentare un’inesistente diversità antropologica tra cittadini.
Su questo il nuovo Governo può dare delle indicazioni già nella progettazione della prima finanziaria. Non si tratterà solo di distribuire il risparmio fiscale tramite la riduzione del cuneo, ma di verificare quante risorse immediatamente spendibili verranno messe sul piatto per il Mezzogiorno e le sue infrastrutture, se le nuove norme sulla green economy apriranno i mercati agli operatori innovativi in tema di mobilità e produzione, se la scuola tornerà centrale, se ci sarà una piena attuazione delle norme per il terzo settore, se sul tema lavoro si guarderà ai diritti eradicanti il dumping contrattuale ma offrendo alle imprese occasioni di crescita.
Se si avvierà una stagione di lotta vera per sradicare le mafie che appiccano il fuoco a cannoni di rifiuti plastici in Lombardia come in Campania. Su questo punto il Governo ha il dovere di abbandonare ogni indugio. Ieri al centro di Napoli le pallottole hanno colpito la sede di una fondazione per l’infanzia e due morti, giorni fa, sono rimasti sul selciato delle strade della periferia nord. La criminalità mafiosa agisce a Roma come nel resto del Paese e genera un clima di generale insofferenza per l’impossibilità di sconfiggere i sistemi criminali, che hanno goduto dell’immobilismo del vecchio governo impegnato a tenere per mare un centinaio di migranti.
Se le forze del nuovo governo si impegneranno ognuna a sconfiggere questo malessere sociale e ad affrontare i mali che in esso si annidano invece che azzuffarsi per abbattere le rispettive leadership, allora potranno acquisire una dignità politica piena. Perché solo sconfiggendo i motivi che sono alla base delle divisioni si riducono le distanze e si costruisce una società più coesa e non più bisognosa di personalità dirompenti e divisive.
È una strada impervia e che appare in controtendenza con le vicende degli ultimi decenni, animati dalla voglia di dividere in due l’elettorato piuttosto che comprendere le esigenze e rappresentarle. Una politica che ha spesso artificialmente costruito le divisioni su temi non sostanziali e che ha guardato ai vizi del nemico piuttosto che alle proprie buone ragioni.
L’esito di questa stagione è sotto gli occhi di tutti. Il Pil fermo, il debito che cresce, la convivenza sociale minacciata dalle divisioni ed il riemergere di rigurgiti estremisti che parevano superati. Il perché è nella natura stessa della polarizzazione sulle personalità più che sulle idee, sull’abbandono della politica intesa come capacità di aggregare sui valori. E così avremmo corso il rischio di dare forza a chi maggiormente costruisce sulla divisione e sulla radicalizzazione, con il fine di conquistare un consenso solo su di sé. E del resto, che il rischio fosse concreto c’è lo insegna anche il nostro Pater Patriae che sconfisse Catilina, e che si ritrovò a far i conti con il cesarismo che da lì prese linfa e che archiviò le istituzioni repubblicane con la giustificazione di metter pace, a modo suo, ad anni di divisioni e lotte.
Il Paese non ha bisogno di tutto ciò, ma di una stagione di costruzione e confronto che lasci alle spalle optimates e populares perché non ci sia più il trionfo di Cesare.