Bella discussione ad Oliveto Citra, la scorsa settimana, sul Mezzogiorno, con l’intervento di Dario Scannapieco, vice presidente della Bei. Una discussione partita da lontano per tentare di capire le ragioni del permanere del divario. Dalla Cassa per il Mezzogiorno.
Nel trentennio che segue la fine del secondo conflitto mondiale, grazie all’intervento straordinario, il divario in termini di Pil pro-capite tra il Mezzogiorno e il Nord dell’Italia calò di dieci punti percentuali. Furono costruite infrastrutture essenziali per le regioni meridionali, si promosse una crescita dell’industria con l’insediamento di poli di sviluppo che si pensava avrebbero diffuso una spinta modernizzatrice all’ambiente circostante. Prevalse un’impostazione che vedeva nell’autorità pubblica il soggetto con l’obbligo di ridurre le disuguaglianze e aiutare le aree arretrate a svilupparsi.
Questa strategia si affermò nella congiuntura storica che va dal dopoguerra agli anni settanta attraverso fasi differenti ma tutte costantemente ispirate alla convinzione di poter ridurre il ritardo meridionale. Di questa politica Pasquale Saraceno fu la figura più influente. Con il trascorrere degli anni tuttavia, nonostante i massicci investimenti, il divario non scomparve. Non solo. I flussi di spesa pubblica produssero, almeno in parte, più che dinamismo economico, assistenza e clientelismo.
L’immagine del Sud cambiò in quegli anni. Lo scrisse in un bel libro Franco Cassano: da arretrato il Sud diventò dipendente e parassitario. Una situazione da cui si tentò di venire fuori con una diversa strategia: spingere il Sud a contare sulle proprie forze, “tenendolo lontano dalle scorciatoie ingannevoli che emergono all’ombra dell’intervento statale”. Si sosteneva che questa fosse la via per far emergere le energie più produttive e migliori del Sud. Insomma, l’intervento dello Stato non era più la soluzione, ma diventava il problema. Passività e irresponsabilità erano il risultato della dipendenza di intere aree dai trasferimenti statali.
Intendiamoci, non mancavano elementi di verità in questa posizione. Si pensi soprattutto alla denuncia delle patologie che accompagnano, con l’invadenza della politica, la spesa pubblica. E tuttavia, come scriveva Cassano, questa posizione attribuiva alla mobilitazione virtuosa delle classi dirigenti locali la capacità di cancellare l’arretratezza, senza interrogarsi anche sugli indirizzi della politica economica nazionale e sulle scelte dell’Unione Europea.
Veniamo all’oggi. Dalla discussione ad Oliveto Citra sono emerse tre questioni su cui è il caso di ben riflettere.
La prima riguarda la politica. Per lungo tempo, la politica locale si è trasformata in una macchina per l’acquisizione di consenso attraverso la distribuzione di benefici particolaristici e la dispersione della vera e propria ricchezza giunta dall’Europa. Governi nazionali hanno tollerato che ciò avvenisse.
La seconda questione riguarda l’incapacità delle istituzioni meridionali di selezione, progettazione e attuazione di programmi: incapacità che ha portato a perdere la grande occasione di una utilizzazione produttiva dei fondi europei.
C’è una terza questione, forse la più importante: l’offerta inadeguata di beni pubblici di base come istruzione, giustizia, sicurezza, servizi alle persone e alle imprese ha reso più bassa nelle regioni meridionali la propensione all’imprenditorialità, più alto il costo del credito, penalizzato le imprese operanti su mercati aperti alla concorrenza.
Infine c’è da prendere atto che la politica di incentivazione alle singole imprese ha pesato molto sulla finanza pubblica ma non ha condotto molto lontano.
Sono queste le questioni da affrontare. Farlo sulla base di una assunzione forte di responsabilità da parte del Sud. L’unico modo per far valere i propri diritti anche nella ricerca di una soluzione equilibrata alla disputa intorno all’autonomia differenziata. Se non lo si fa, anche il succedersi di incontri e discussioni sul Sud si ridurrà a null’altro che chiacchiere. E, come abbiamo detto ad Oliveto Citra, cosa se ne fa delle chiacchiere a Napoli e nel Sud è noto.