Industry 4.0 è un alleato o un concorrente del Green New Deal in Europa? In Germania – dove il governo Merkel ha appena varato un maxi-piano da 54 miliardi per fronteggiare il climate change – non mostrano alcun dubbio. La VDMA – la centrale associativa dell’industria meccanica tedesca, la più grande federazione imprenditoriale d’Europa – parla correntemente da anni di “Circular Economy 4.0”. Le imprese per prime, grandi o piccole, sono protagoniste essenziali di ogni strategia “verde”: sanno di esserlo, vogliono esserlo, la politica industriale non ha mai esitazioni a riconoscerlo.
La manifattura a contenuto tecnologico è laboratorio non solo nella ricerca, ma anche nella sperimentazione dal vero di problemi, soluzioni, impatti, costi e benefici. Nell’innovazione di processo in fabbrica e in quella di prodotto sui mercati di sbocco. Non c’è soluzione di continuità, anzi: c’è totale sinergia fra sviluppo della digitalizzazione produttiva e accelerazione dell’economia sui diversi piani della sostenibilità energetica e ambientale. È una premessa scontata anche nel nuovo piano Merkel: in attesa degli altri che la nuova Commissione Ue sta sollecitando a tutti gli stati membri. E in Italia?
La prima vera uscita pubblica del nuovo ministro per lo Sviluppo Stefano Patuanelli (M5S) – all’assemblea degli industriali di Vicenza – ha dato indicazioni contrastanti. Il successore di Luigi Di Maio al Mise ha detto che il nuovo Governo vuole “riconquistare la fiducia degli imprenditori” e ha preannunciato l’arrivo della Green Rule anche in Italia. Ha ribadito che da Bruxelles il Conte-2 si attende misure di svincolo dal deficit degli investimenti messi in campo dal Paese per combattere i cambiamenti climatici. Ha prospettato “investimenti indirizzati verso il tessuto imprenditoriale dei Paesi, con l’effetto immediato di creazione di migliaia di posti di lavoro”. Si è spinto in dettaglio delineando un impegno per la “transizione energetica” delle imprese (oltreché delle famiglie con la conferma del “bonus casa”). Però a una domanda sul futuro di Industria 4.0 ha risposto con toni tiepidi ai limiti del problematico.
“L’impianto ha funzionato – ha osservato – e forse merita anche altri strumenti. ma va ritarato. Bisogna passare da un set di interventi molto ampio a uno un po’ più strutturato, più incidente”. Certamente non un viatico a quella che fin dall’inizio è stata la richiesta del mondo imprenditoriale: che un piano che si è dimostrato davvero win-win (quindi del tutto no-partizan) venisse finalmente riconosciuto come progetto-Paese per almeno cinque anni. Svincolato dalla consueta bonanza delle manovre annuali. E attento ai fatti, alle conquiste green già acquisite proprio da Industria 4.0: come i risparmi e ricicli di energia conseguiti dai nuovi sistemi produttivi digitalizzati.