Il primo impegno dell’esecutivo in procinto di entrare in carica – la manovra 2020 – offre immediatamente alla nuova maggioranza e ai suoi ministri l’opportunità di smentire coloro i quali hanno visto nella crisi di governo un passaggio eminentemente politico, ancora una volta lontano dalle esigenze reali poste dall’emergenza-Paese. È naturalmente presto per giudicare ogni bozza di piattaforma del Conte 2. E toccherà anzitutto al premier reincaricato, fra qualche giorno davanti alle Camere, cominciare a dare concretezza ai 26 punti del programma congiunto anticipati ieri.
Come ha sottolineato sul Sussidiario Ugo Bertone spiccano già, tuttavia, importanti punti fermi di cornice esterna. Lo spread resta più che tranquillo, anche dopo che i mercati hanno avuto conferma che il perno numerico della maggioranza di governo rimarrà M5s (il più grande partito populista d’Europa, anche dopo l’appoggio alla nuova leader della Commissione Ue, Ursula von der Leyen). La brusca staffetta fra Lega e Pd viene dunque percepita dai grandi investitori come valore aggiunto di stabilità: ciò che per un Paese ancora oberato dal debito pubblico come l’Italia si traduce di per sé in centinaia di milioni di meno di spesa per interessi.
È in ogni caso chiaro che una parte dell’effetto-Conte 2 è già legato – e lo sarà sempre più in prospettiva – al reinserimento dell’Italia nella politica economica complessiva della Ue, che si avvia a una svolta netta. Le indiscrezioni che assegnano all’Italia un possibile margine di flessibilità fino al 3% del Pil nel budget 2020 sono credibili in quanto innestate negli orientamenti di Francia e Germania, ora più direttamente colpite da un nuovo ciclo recessivo oltreché da una crescente instabilità politico-sociale interna.
È una nuova Ue, dunque, che vuole lasciarsi alle spalle un decennio di austerità – forse troppo lungo e troppo rigido, certamente in Italia – per ritrovare slancio economico e coesione sociale. E su questo terreno l’apertura verso una nuova stagione di infrastrutturazione digitale ed ecosostenibile promette di coniugarsi con un utilizzo meno tecnocratico dei parametri di Maastricht, anche sul debito italiano.
Pil, occupazione, ma non solo: l’agenda di impegni del nuovo governo si annuncia molto densa e la riselezione degli strumenti tutt’altro che banale. Da un lato una nuova ed effettiva “politica per la famiglia” (anche attraverso l’introduzione ragionata di un “quoziente” fiscale) può rappresentare un approccio corretto alla destinazione di risorse alle fasce più in difficoltà della popolazione. Gli investimenti in education non possono che essere rafforzati: guardando fra l’altro allo sviluppo di successo degli Its, in ogni distretto della penisola, con benefici win win per l’occupazione giovanile e per la competitività delle imprese italiane export-oriented. Per queste ultime, d’altronde, è già stato costruito un “piano nazionale” votato alla digitalizzazione: nonostante le resistenze in fase di varo da parte dei governi di centro-sinistra e quelle in sede di conferma. I risultati di Industria 4.0, in ogni caso, sono acquisiti: ignorarlo sarebbe un grave errore. Poi, naturalmente, ci sono i dossier politico-economici più pesanti. il rilancio del Jobs Act soprattutto nelle politiche attive per il lavoro oppure la crisi industriali conclamate. Se tuttavia l’Europa si è data – e ha dato anche all’Italia – due anni di tempo per ritrovare un vero new normal, l’imperativo è unico: non sprecare questi ventiquattro mesi.