La “ questione meridionale” può rinascere solo come fulcro della “questione mediterranea”, come problema di lungo periodo dell’intero paese e di un’Europa capace di guardare oltre il suo cuore settentrionale.
Ha scritto negli scorsi anni su questo tema pagine di straordinaria acutezza Franco Cassano, autorevole e originale studioso della vicenda meridionale. A Bruxelles dovrebbero capire che trascurare la dimensione mediterranea del Sud italiano è un errore grave, impedisce di sfruttare quel grande vantaggio competitivo che deriva da una posizione privilegiata nel rapporto con i paesi della riva sud del Mediterraneo.
Credo non sia velleitario pensare al Mezzogiorno come la piattaforma logistica dell’Europa in un Mediterraneo che anche con il raddoppio di Suez (che triplica il tonnellaggio complessivo di merci che transita da Suez a Gibilterra) ritrova nuova centralità negli scambi internazionali. È realistico proporsi un tale obiettivo in uno scenario internazionale (e mediterraneo) scosso da gravi tensioni? Quali sono le condizioni per muovere in questa direzione? Vediamone alcune brevemente.
Prima di tutto deve farsi sentire la voce del Mezzogiorno che non indulge al rivendicazionismo deteriore, che rifiuta il vittimismo plebeo alla de Magistris. Il Mezzogiorno che non attribuisce unicamente ai “nemici esterni” la responsabilità dei suoi problemi, ma sa riflettere sui propri errori e sui limiti delle classi dirigenti meridionali. Il Mezzogiorno che si batte per investimenti a sostegno dell’istruzione e della ricerca; investimenti per accrescere l’offerta di beni pubblici di base: sicurezza, sanità, giustizia. Il Mezzogiorno che utilizza pienamente e bene le risorse finanziarie che alle regioni meridionali vengono destinate dall’Europa. Un Mezzogiorno infine in cui la politica torni ad essere orientata all’interesse generale. Obiettivo difficile da raggiungere se si pensa a cosa sono ridotti i partiti nel Sud e a Napoli. Molto infine dipende dall’azione del governo nazionale sulla scena europea e mediterranea.
La congiuntura internazionale è complessa. In Libia, in Medio Oriente sono in corso conflitti che incidono direttamente sugli interessi politici ed economici italiani. Da che parte è schierata l’Italia? Il governo in carica sa cosa vuole? Sa come muoversi? Quale è la sua bussola? I nostri militari sono in Libano e in Iraq, zone di guerra, basta la “dichiarazione improvvida di un ministro o un silenzio equivoco per creare gravi danni politici e materiali” (A. Campi).
È in grado questo governo di sviluppare una forte iniziativa sulla grande questione Mezzogiorno/Mediterraneo? Di incalzare l’Europa perché venga fuori da retorica e inerzia nel fare i conti con questo straordinario tema?
Vedremo. Infine occorre un esecutivo che sappia assumersi responsabilità e decidere. Confesso un timore. Il timore che questo governo fatichi a prendere posizione, quasi fosse nato, nel settembre del 2019, unicamente per durare nel tempo, rimandando scelte troppo impegnative, mosso dalla preoccupazione di evitare elezioni e concludere la legislatura. Se così fosse temo che non andrebbe molto lontano. Su questo dovrebbe riflettere il Pd. Può Zingaretti rimandare ancora un profondo chiarimento politico? Se lo facesse pagherebbe un prezzo enorme.