“Crescita modesta, debito alto e produttività bassa; riforme strutturali urgenti”. È davvero difficile distinguere dalle dieci o venti precedenti la pagella sintetica data all’Azienda-Italia dal World Economic Outlook, aggiornato dal Fondo monetario internazionale in occasione del Forum di Davos. È vero che la stima del Pil italiano per il 2019 appena chiuso è stata migliorata a +0,2% (in ottobre la previsione era “crescita zero”), ma gli economisti Fmi hanno escluso che l’Italia possa festeggiare: soprattutto perché “ ha beneficiato della politica monetaria accomodante e dei tassi di interesse molto bassi”, Il Paese – che nel 2020 non crescerà più dello 0,5%, in un anno di ciclo debole ovunque – ha quindi ancora bisogno di canoniche “riforme strutturali”.
Appartiene alla categoria delle riforme strutturali l’alleggerimento appena deciso per il “cuneo fiscale”? Oppure la più ambiziosa ristrutturazione dell’Irpef, preannunciata dal Governo quando l’inchiostro sulla manovra 2020 è ancora fresco? Carlo Cottarelli – per anni executive director del Fmi addetto al monitoraggio dell’Italia – si è espresso in termini cauti sulla fretta con la quale il governo Conte-2 si sforza di “tagliare le tasse” ai redditi di lavoro più bassi dopo aver sostanzialmente aumentato la pressione su imprese e partite Iva nella Legge di stabilità.
Riguardo l’accordo con le parti sociali sul “cuneo” – lungamente atteso – l’economista lo giudica “utile ma non risolutivo”. In Italia, ha notato Cottarelli, l’incidenza del “cuneo” era più elevata rispetto a quella degli altri Paesi Ue e fra i suoi effetti vi era quelli di penalizzare la competitività delle imprese. L’intesa da 3 miliardi, fra l’altro, non colmerà ancora quel gap. L’effetto-stimolo sulla domanda da parte dei lavoratori con reddito non alto può rivelarsi “superiore agli 80 euro del bonus-Renzi”. Tuttavia una valutazione complessiva sarà possibile solo a medio termine: quando – prevedibilmente – ai tavoli dei rinnovi contrattuali, le richieste sindacali di aumenti salari potrebbero essere rintuzzate citando l’aumento impliciti nel taglio del cuneo.
Un giudizio “grigio” – condiviso da molti osservatori – è anche quello che Cottarelli esprime sul piano delicato dell’equità, cioè del contrasto alle diseguaglianze. È respinta l’accusa di un troppo marcato effetto redistributivo, anzi: il provvedimento arriva dopo un decennio di redistribuzione del reddito molto limitata in Italia. È invece accolta l’obiezione riguardo l’esclusione dai benefici da parte di redditi superiori ai 40mila euro, cioè più “medi” che “alti”: su di essi il cuneo fiscale continuerà a incidere molto. La pressione fiscale in Italia, in ogni caso, non diminuisce, rimanendo per il 2020 più o meno invariata al 42 per cento: l’accordo sul cuneo è infatti coperto da un’attesa di incasso dalla lotta all’evasione (ed è probabilmente per rassicurare l’Ue e i mercati che il Governo ha dovuto subito annunciare controlli fiscali più stretti sui conti bancari dei contribuenti).
Anche dopo l’intervento sul cuneo la manovra italiana, in ogni caso, resta non espansiva: “Non è dal bilancio pubblico 2020 che ci dobbiamo aspettare nuova crescita”, ha ribadito Cottarelli. Che ha lamentato la persistente assenza di azione su tre fronti critici: la riduzione della spesa pubblica, il ridimensionamento del debito e la predisposizione tempestiva di misure di disinnesco di 20 miliardi di clausole di salvaguardia Ue rinviate al 2021. Tutti interrogativi – quelli riguardanti la ripresa e i conti pubblici – che certamente sono stati solo enfatizzati dalla pubblicazione dei dati aggregati e analitici sull’avvio dell’erogazione di 500 euro medi al mese di reddito di cittadinanza a 2,5 milioni di italiani.