L’ex presidente del Consiglio Enrico Letta non si nasconde di fronte ai problemi del nostro tempo. Si può passare in rassegna, senza abbandonarsi al pessimismo, il logoramento dei punti di riferimento di una società democratica e non si può nascondere sotto il tappeto la polvere di tre capisaldi ormai evidenti: crisi del capitalismo, crisi del mercato, crisi della democrazia e delle sue istituzioni. Lancia però una provocazione positiva Enrico Letta, partecipando alla seconda edizione della Scuola di formazione politica “Conoscere per decidere”, nata per iniziativa della Fondazione per la Sussidiarietà e l’antica Società Umanitaria. L’ex presidente del Consiglio non recita un “de profundis” della democrazia parlamentare.
Sottolinea, dicendo di partecipare volentieri all’iniziativa per lo stesso titolo scelto nell’introduzione al secondo ciclo di riunioni, conferenze e dibattiti: “Re-imparare la democrazia”. Letta, insieme ai protagonisti della prima assemblea, si appassiona a questo re–imparare.
I ragionamenti partono da considerazioni storiche. La democrazia sembra un fatto acquisito, condiviso, vincente, unanimemente riconosciuto come grande traguardo, spiegano il presidente dell’Umanitaria Alberto Jannuzzelli, il moderatore Alberto Orioli, vicedirettore de Il Sole 24 Ore e Giorgio Vittadini che introduce e conclude il dibattito. Ma ogni tanto, come è avvento da ormai un centinaio di anni in tutti i Paesi dell’Occidente, la grande rappresentatività popolare assicurata dalle istituzioni democratiche si smarrisce e in alcuni casi, come in Germania e in Italia, crea involontariamente addirittura dei “mostri”.
Letta spiega che la democrazia è apparsa trionfante dopo il 1989, quando cade il Muro di Berlino e alla fine dei totalitarismi di destra si accompagna anche la fine del totalitarismo di sinistra. Francis Fukuyama arriva quasi a scrivere un epitaffio, “la fine della storia”. Ma non è così. Perché passano pochi anni e le forze politiche che hanno cercato di gestire i principi della democrazia vanno in crisi, mentre emergono nuovi problemi che spesso sembrano il frutto di posizioni dei “barbari”, che oggi vengono relegati tra i nuovi populismi e i vecchi sovranismi.
In realtà, la caduta del Muro di Berlino coincide con una svolta epocale sul terreno sociale ed economico, soprattutto tecnologico. È proprio la tecnologia, che invade l’economia, l’informazione e lo scambio delle relazioni e che imprime una rapidità di decisioni, di notizie e di spostamenti che mettono in crisi i vecchi sistemi politici che pure si basano su principi democratici.
Enrico Letta, con molta precisione, ripete più volte i cambiamenti che noi possiamo pensare persino guardando alla nostra vita: in quella di tre, cinque, dieci anni fa. In sintesi, di fronte alla necessità di questa rapidità di decisioni, Letta arriva al massimo della sua provocazione dicendo che se non si re-impara la democrazia, il glorioso sistema parlamentare può addirittura fare a meno del Parlamento tra una ventina di anni.
La provocazione, detta e ripetuta, gliela ricorda Alberto Orioli, ma anche Giorgio Vittadini si mostra dubbioso di fronte alla vecchia tripartizione dei poteri: il governo decide sempre di più per decreti; il potere legislativo ratifica quasi sempre dopo e sembra un convitato di pietra del dibattito politico; il terzo potere, quello che dovrebbe gestire la giurisdizione e interpretare le leggi, sembra diventare sempre più supplente o invasivo rispetto alla sfera politica.
I nuovi “barbari” sembrano assicurarsi, non solo in Italia, gli spazi che le vecchie classi dirigenti, i vecchi partiti avevano occupato da molto tempo. Il problema è epocale, storico e il problema più importante è salvarla, la democrazia, reinventandola se così si può dire, creando una sorta di “laboratorio”, come le scuole di politica, dove si mettono a confronto idee che rivitalizzino la rappresentatività, dove si restituisca una funzione precisa alle istituzioni democratiche.
Non si può certamente uscire dal terreno della rappresentatività e della sussidiarietà, ma non si può battere le strade del passato, i vecchi sentieri; bisogna costruire qualche cosa di nuovo, magari “uscendo dal seminato”, provando a battere strade nuove e a reinventarsi, attraverso un acculturamento maggiore, più accurato che in passato, i principi basilari della democrazia.
Non è una sfida semplice, ma molto impegnativa. Tuttavia se non si battono strade nuove, se non ci si sforza di coniugare i tempi della tecnologia che è stata creata, i cambiamenti che sono avvenuti, ai principi della rappresentanza e delle decisioni che elabora un sistema politico, la stessa democrazia rischia di perdersi e di morire.
Quasi come un portatore di “eresia”, Letta arriva a pensare, a proporre una riduzione della stessa lunghezza della legislatura. Cinque anni hanno cambiato il mondo in questi tempi e in futuro lo cambieranno ancora di più. Ragionevolmente una legislatura può durare e fare bene anche con la durata di tre anni.
Questa seconda edizione della Scuola di formazione politica, dopo la giornata inaugurale, sembra alzare ancora di più la sfida all’apatia, all’abbandono esistente nel dibattito politico attuale. Saranno sei gli appuntamenti dove si cercherà di re–imparare, con un criterio ben preciso: la nuova edizione della Scuola di formazione politica si caratterizza per due livelli di proposta: l’ascolto e il dialogo con personalità che approfondiscono i grandi scenari e lezioni su come muoversi in ambito legislativo e amministrativo, con sperimentazioni che permettono di prendere coscienza di quanto si è imparato.
Può essere una strada azzardata, ma nel mondo post–ideologico, nel tramonto dei vecchi partiti tradizionali, questo metodo sembra una strada percorribile e utile.