Nel mondo digitale, pressoché tutti i giornali hanno affrontato la lotta per la vita puntando su due dogmi: quello generale del capitalismo (profitto = riduzione dei costi + aumento della produttività) e quello applicato all’informazione web (profitto = più articoli per giornalista = più articoli complessivi = più click = più utenti). In pratica: più notizie, in continuo aggiornamento, prodotte con meno giornalisti, tra l’altro molto meno pagati di una volta.
Il prestigioso quotidiano francese Le Monde sta compiendo un’operazione “in direzione ostinata e contraria”; così potremmo definirla prendendo a prestito un’espressione di Fabrizio De André. Come informa un tweet del suo direttore, Luc Bronner, di qualche giorno fa, la testata ha ridotto del 14% il numero complessivo degli articoli pubblicati (del 25% nel biennio 2018-2019) e ha aumentato il numero dei giornalisti (più di 500; il che significa più tempo dedicato alla qualità dell’informazione). Il risultato appare sorprendente: è aumentata dell’11% l’“audience” come pure, sempre dell’11%, la diffusione delle edizioni, sia cartacea sia web.
Anche se il caso di Le Monde non è l’unico, ci andiamo piano a dire che abbiamo scoperto la pietra filosofale. Però abbiamo trovato un indizio non trascurabile: forse esiste una domanda di informazione di qualità; lettori che non si accontentano della normale sarabanda di notizie postate spesso in fretta e scritte male, spesso da non si sa chi, o meglio, non si sa da quale fonte ricavate, e via via rimbalzate in un Circo Barnum di copia-incolla, post, ripòst e còmpost. Una domanda, perciò di affidabilità.
Ora, sappiamo che soprattutto attraverso i social siamo sciaguratamente portati a ritenere affidabile e autorevole chi la pensa come noi, o reagisce secondo la nostra istintiva propensione o stato d’animo, che sia un giro di attivisti politici o un club di terrapiattisti, non importa. Invece affidabilità e autorevolezza sono il contrario dell’autoreferenzialità e sono dati da ben altri fattori, esattamente gli stessi che richiediamo al medico all’idraulico: che sappia fare il suo mestiere e che non ci voglia fregare.
Il digitale può convincerci che uno vale uno, ma è una stupidaggine grande come una casa, esito finale della parabola storica e culturale che ha fatto svaporare il padre, deprezzare l’autorità (a tutto vantaggio del potere) e illuderci di fare a meno del mediatore. Perché nel mondo degli uomini, tra il bisogno e la risposta è, almeno normalmente, necessario un mediatore (Gesù, per dirne uno non a caso, è definito mediatore tra Dio e gli uomini; Michelangelo tra la pittura e la Cappella Sistina, ecc).
Un filino più modestamente, il giornalista (o quello che una volta si chiamava il giornalista) è mediatore tra la fonte e il destinatario dell’informazione. Egli deve (dovrebbe, se preferite: comunque questo gli insegnano) rispondere al bisogno di informazione del pubblico non da protagonista gonfio di sé, ma da osservatore e testimone. Il suo orizzonte è di favorire, con il mezzo dell’informazione, la conoscenza, che non è semplice accumulo di notizie e messaggi, ma contestualizzazione, gerarchizzazione, comprensione del senso. Partendo da un lavoro umile e paziente di ricerca delle informazioni, verifica dei dati, controllo della veridicità; e poi di selezione appropriata, scrittura adeguata allo scopo che è la comprensione del fatto da parte dell’utente.
Prevedibile un’obiezione del tipo: “Ma in che film? La realtà è ben diversa”. Vero, ahimè, spesso. Senza fare di ogni erba un fascio. In ogni mestiere ci vuole la scuola specifica, ma non basta: occorre una permanente educazione del soggetto, un motivo e una energia per non essere inghiottito dal gorgo nichilista dei business di ogni genere. Sempre come per il medico e per l’idraulico.
Ora, con internet tutti possiamo accedere senza bisogno di mediatori a fonti (valide o tarocche, autorevoli o cazzare) e tutti possiamo diffondere senza mediatori informazioni (altrettanto valide o tarocche, autorevoli o cazzare). “Siamo tutti giornalisti”. Ma se è così, tutto quanto detto sopra vale in buona misura anche per noi. Come per il medico, l’idraulico e il giornalista, l’internauta dell’informazione necessita di un’etica e una (minima) competenza professionale. Una costante educazione del soggetto, e una scuola che insegni l’abc dei meccanismi dell’informazione.
L’evoluzione dei lavori della società industriale del dopoguerra richiese una alfabetizzazione di massa cui la Rai-servizio pubblico (democristiana) rispose splendidamente con il mitico maestro di Non è mai troppo tardi, Alberto Manzi (comunista, amico di Gianni Rodari).
Ecco, fossi la Rai, penserei a qualcosa che risponda al bisogno di una nuova corretta alfabetizzazione di massa nell’era digitale; a trovare un maestro Manzi 5.0 che insegni finalmente come correttamente leggere e scrivere digitale.
Su, coraggio, non è mai troppo tardi.