Attorno alla presentazione del World Economic Outlook del Fmi, a Davos, la discussione è stata animata. Il rapporto è relativamente cauto sulle prospettive dell’economia globale nel 2020. La crescita aggregata – secondo gli economisti del Fondo – non supererà il +1,6% nei paesi avanzati: addirittura più lenta rispetto al 2019. Tuttavia i mercati azionari – anche al netto di qualche percepibile effetto bolla – continuano a essere più ottimisti sull’andamento dell’economia reale sottostante. E questo avviene, almeno in parte, perché gli analisti finanziari starebbero attribuendo maggior peso – rispetto ai macro-economisti – ad alcuni specifici segnali di ripresa che provengono dal settore manifatturiero a livello mondiale.



Mentre le statistiche puntuali di Ocse e G7 certificano una produzione industriale nettamente debole nel 2019, alcuni parametri probabilistici (come quello calcolato da Fulcrum sulla base del Pmi, “l’indice dei direttori degli acquisti”)  intercettano già segnali di inversione di tendenza al giro di boa del 2020. È una dinamica ancora in fieri, percepita ovunque: dalla Germania in recessione alla Cina (naturalmente al netto di effetti Coronavirus ancora da valutare). È comunque una “narrazione” statistica che non può restare confinata agli addetti ai lavori: tanto meno in Italia, secondo Paese manifatturiero dell’Ue.



Se il filo d’Arianna di una ripresa che in Italia sembra drammaticamente inafferrabile è la produzione industriale, è su di essa che dovrebbe convergere il confronto sulle linee di politica economica. E quanto ha chiesto con forza, negli ultimi giorni, anche Massimo Carboniero, presidente dell’Ucimu: cioè dei produttori di “sistemi per produrre”, il parco-macchine necessario a tutti gli altri comparti della manifattura. Spiegando le ragioni di una convention-punto di Industria 4.0 convocata per domani nella sede Ucimu alle porte di Milano, Carboniero non ha avuto timore di rilevare che il motore degli investimenti industriali in Italia è pericolosamente in folle: quasi a livello di “sciopero dell’investimento”, come testimonia la contrazione della domanda di credito da parte delle imprese nonostante l’alta disponibilità di liquidità nei depositi.



Il 2019 – ha già ricordato Carboniero prima di fine anno – si è chiuso con una preoccupante contrazione degli ordini di macchine utensili (-24%). Alla fase recessiva globale si sono sommate tutte le incertezze interne: legate a un’instabilità specifica di politica industriale. “Industria 4.0”. Il nuovo titolare del Mise, Stefano Patuanelli (M5S) lo ha ribattezzato “Transizione 4.0”, rimescolando la batteria degli incentivi fiscali alla digitalizzazione industriale.

Lo sperimentato “superammortamento” è stato sostituito in corsa con nuovi crediti d’imposta. E al di là delle dichiarazioni d’intenti il ministro non è andato nel cementare la prospettiva poliennale del piano-Paese: nei fatti a rischio, ogni autunno, degli assalti alla diligenza della manovra.

Se l’Azienda-Italia vuol davvero “ripartire dalla manifattura” serve davvero ben altro.