Le due elezioni regionali del 26 gennaio sono arrivate e passate. Al momento, e ancora per qualche giorno, si discute e si discuterà sui risultati con diverse intonazioni. Ma la sostanza dell’appuntamento in Emilia-Romagna e in Calabria, che veniva atteso quasi ossessivamente, sembra venire lentamente metabolizzato con un paradossale “nuovo slancio” verso l’immobilismo nei palazzi del potere nazionale.

Si diceva, con varie sfumature alla vigilia del voto, in un accavallamento e in un intreccio di interpretazioni, fatte più che altro secondo convenienza, che il voto era, da un lato, una sorta di referendum sul governo; dall’altro, una semplice consultazione territoriale.

Chiunque, dotato di un minimo di memoria oppure consultando la documentazione sulle dichiarazioni prima delle elezioni, può valutare come siano cambiati i commenti dopo il voto, con una sostituzione delle parti degne di una commedia dell’assurdo.

Riassumiamo, a questo punto brevemente, quello che è avvenuto in Emilia-Romagna e in Calabria.

Nella roccaforte storica della sinistra, c’è stata la conferma del Governatore, Stefano Bonaccini, leader di un ampio schieramento di sinistra, forse anche per la stessa “comparsa”, improvvisa o studiata, delle cosiddette “sardine” nelle piazze. Unico caso al mondo di movimento che contesta l’opposizione. Nuova anomalia italiana. In tutti i casi lo scarto tra i due schieramenti, quello di centrosinistra vincente e quello di centrodestra perdente, è stato abbastanza contenuto: poco meno di tre punti. Essendoci il voto disgiunto, il vero vincitore resta proprio Bonaccini, che stacca di diversi punti, in questo caso in modo nettissimo, la concorrente Lucia Borgonzoni.

Tutto questo ha fatto dire ai leader del centrosinistra che è stato nettamente premiato il “buon governo” regionale e una storia radicata nel tempo, mentre il centrodestra ha sostenuto che finalmente anche in Emilia-Romagna c’è stata “partita”. Si è, insomma, messo in discussione un antico assetto di potere, che è pragmatico ma anche in parte ideologico. Punti di vista diversi, ma condivisibili e in certi casi addirittura ragionevoli.

La Calabria ha invece riservato pochi commenti, quasi insignificanti, anche se il centrodestra, vincendo con Jole Santelli di Forza Italia, ha rovesciato una esperienza governativa locale di sinistra e ha aggiunto altri voti alla destra.

Schematizzando al massimo, si hanno queste indicazioni: tenuta del Pd nella sua zona, buon risultato della Lega, espansione continua di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, ma soprattutto la quasi scomparsa del Movimento 5 Stelle. A proposito di quest’ultima realtà, si può dire che il miglior interprete delle tendenze in corso è stato “Giggino” Di Maio, che si è dimesso tre giorni prima del voto da capo dei Cinquestelle, rimanendo ministro degli Esteri, ma astenendosi da qualsiasi commento post-elettorale. Il prossimo appuntamento di “Giggino” potrebbe essere la trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”…

Nella concitata situazione politica italiana, si può dire, a questo punto, che il piano di rinnovamento del Paese e la nuova fase del Governo sembrano illusioni a cui ci si aggrappa per far semplicemente passare il tempo, proprio mentre il Fondo monetario internazionale sforna dati poco rassicuranti sulla crescita italiana e ribadisce quello che altri osservatori economici avevano già elaborato e divulgato.

Infatti, di fronte alla confusione e a dati non confortanti, il governo che si regge sull’alleanza tra Pd e grillini sembra immerso in una palude dove è difficilissimo muoversi. Inconsistente appare l’appoggio silenzioso di Leu, rischioso quello di “Italia viva” di Matteo Renzi, che sembra meditare agguati più che appoggi.

Alla fine, si può affermare che la situazione politica non è mutata per nulla, mentre i problemi da risolvere incalzano sempre e, alla fine, il miglior commento, dopo questa tornata elettorale, del prima e dopo voto. sembra essere quello di una famosa commedia shakespeariana: “Molto rumore per nulla”.

Facciamo una prima considerazione. Esiste un programma concordato, che il Pd vincitore in Emilia e il M5s “scomparso”, dovrebbero “rimodulare”, per usare un verbo alla moda, In sostanza, c’è sempre in ballo la prescrizione, che i grillini vogliono cancellare, ma una parte del Pd e soprattutto i renziani ritengono un atto di “barbaro giustizialismo”. Pare che al momento, su questo problema, ci siano solo sequenze di capriole nel voto alle Camere e continue soluzioni di rinvio prolungato.

Poi c’è il problema della concessione autostradale ai Benetton, dove esistono marcate divisioni. Quindi ci sono altre scelte di carattere economico, come i possibili interventi su reddito di cittadinanza e quota 100,  su cui si deve trovare un nuovo accordo. Così come su diverse forme di tassazione che al momento sono state posticipate. Così come la cancellazione di provvedimenti del “Conte 1”, quando Matteo Salvini dettava legge nella coalizione giallo-verde.

“Conte 2” va in televisione e fa programmi rassicuranti. Un Massimo Cacciari quasi torvo lo incalza su contenuti precisi e lo invita a scelte irrinunciabili per il Paese.

Nel guazzabuglio di un presunto riformismo di questo governo, si aggiunge una scadenza imbarazzante: il referendum sul taglio dei parlamentari che si terrà il 29 marzo. Sembra che il risultato sia scontato, anche se bisognerebbe ridisegnare i collegi e varare una nuova legge elettorale per garantire la rappresentatività democratica.

C’è chi afferma che un taglio di questo tipo e di una simile ampiezza, fatto solo per risparmiare, sembra solo la continuazione di Tangentopoli, di una lotta alla casta fatta senza senso. E anche su tale questione ci sono sensibilità diverse all’interno della stessa maggioranza, anche perché programmare in futuro di andarsene a casa, quando già si erano evitate le votazioni nell’agosto 2019 per paura di “andare a casa”, sembra un controsenso. Anche questa entra nella classifica delle anomalie italiche…

Di fronte a questa massiccia dose di problemi aperti, il risultato del voto dell’Emilia-Romagna ha provocato, si dice, un “sospiro di sollievo” per le forze di governo. Può darsi. Ma in realtà, o rifacendosi sempre a quello che appare, sembra che il voto abbia provocato una sorta di vacanza di studio per il Pd, che si riunirà in una sorta di congresso o convegno o Stati generali, dove si pensa addirittura di cambiare nome al partito.

La stessa “vacanza di studio” è programmata dai Cinquestelle, non si capisce se a marzo o a maggio, per arrivare alla “seconda fase” del movimento nato circa dieci anni fa.

Come si può interpretare tutto questo? Fare ipotesi con un minimo di razionalità è diventato difficile nella politica italiana dei nostri giorni. Ma, salvo sorprese di una certa consistenza, la strada che le forze politiche, soprattutto di maggioranza, ma anche qualcuna di minoranza, sembrano voler intraprendere è quella di tirare a campare, di andare avanti il più possibile.

Dopo le tante definizioni di politica stilate da filosofi, sociologi e polemologi, in questo caso si può dire che in Italia, al momento, la politica è diventata “una sfida contro il tempo”.