Il risultato delle ultime elezioni regionali induce ad alcune riflessioni, ma a una in particolare: l’estrema mobilità dell’elettorato italiano, che si sposta da una forza politica all’altra della cosiddetta Seconda Repubblica, anche nell’intervallo limitato tra una consultazione e l’altra.
Se Silvio Berlusconi e Romano Prodi hanno avuto alti e bassi fino alla crisi scoppiata nel 2008, più rapida è stata la precarietà del successo dei cosiddetti “tecnici”, prima accettati e quasi invocati con il loro governo dall’ottanta percento degli italiani, in seguito ritenuti deludenti e incapaci dall’elettorato persino di costituire un qualsiasi punto di riferimento politico.
Poi c’è stata la parabola di un leader emergente nella nuova sinistra, Matteo Renzi. Partito da un successo clamoroso, superando il quaranta percento nelle penultime “europee”, è incappato in una sconfitta altrettanto clamorosa alle ultime “politiche”, riducendosi infine, con una scissione dal Pd, a rappresentare un partito valutato intorno al 5 percento.
Adesso, dalle “urne regionali” dell’Emilia Romagna e della Calabria, c’è stato il più grande ridimensionamento di una delle forze emergenti: il Movimento 5 Stelle, nato una decina di anni fa, è passato da un clamoroso trentaquattro percento delle ultime “politiche” alla marginalità del cinque percento circa del voto emiliano e addirittura all’esclusione, per la legge elettorale, dal Consiglio regionale calabrese, dove aveva raggiunto qualche mese fa il 44 percento. L’ascesa di Matteo Salvini, che sembrava inarrestabile, ha subito invece una battuta d’arresto. Alle europee del 26 maggio 2019 la Lega era primo partito con il 33,7 per cento, adesso ha perso 3 punti.
A che cosa è dovuta questa mobilità? A un continuo cambiamento di umore da parte dell’elettorato italiano? Ovviamente esistono motivi più solidi da valutare. C’è innanzitutto il crollo delle ideologie dopo il 1989, che ha svuotato le forze politiche, non solo in Italia, di visioni complessive, che erano anche utopistiche ma in cui le persone si riconoscevano. Ma legato a questo nuovo mondo post-ideologico, si nota pure la fine di quello che un tempo veniva definito sbrigativamente un “sistema clientelare”: prometto questo e aspetto il consenso.
Se il sistema ideologico è evaporato rispetto alla realtà in continuo mutamento, il cosiddetto “sistema clientelare” è franato perché alle aspettative sono seguite solo delusioni. Impressionante, a questo proposito, il caso calabrese, dove il “reddito di cittadinanza” non ha sostituito l’aspettativa di un lavoro, di un welfare accettabile, di cure mediche, cioè di un sistema che garantisca sicurezze. E questa appare come la ragione principale della frana del M5S.
Dopo il collasso politico del 1992 e il dramma economico del 2008, gli elettori, abbandonata l’ideologia, non vedono più nelle forze politiche un progetto, una visione di società accettabile, pragmatica, realistica e non basata su sogni e promesse. Va notato che i riferimenti ideologici del passato sono venuti meno, ma il problema identitario rimane. Bisogna chiedersi ad esempio quanto ci sia di reazione identitaria in tanti emiliano-romagnoli di fronte all’insulto alla loro storia che Salvini ha espresso promettendo di “liberarli”.
La disaffezione politica e la mobilità, con continui mutamenti, sono soprattutto legati ad aspettative politiche deludenti, a promesse economiche che si sono rivelate sbagliate e ad assetti istituzionali, statali, giudicati nel loro complesso, inadeguate allo sviluppo di una democrazia che deve andare al passo con lo sviluppo tecnologico e al nuovo ritmo decisionale imposto dai tempi, dalla nuova organizzazione del lavoro e quindi dalla produzione di beni e servizi.
La necessità di una realistica, moderna visione complessiva della società resta quindi un punto di riferimento fondamentale per l’elettorato. Limitarsi al solo elenco dei problemi senza entrare mai nel merito delle scelte da fare per risolverli, crea solo sfiducia.
In un recente dibattito televisivo il premier Giuseppe Conte sembrava imbarazzato di fronte alle domande incalzanti di un uomo di sinistra come Massimo Cacciari che chiedeva: come vuole risolvere il problema di una società basata sulla tecnologia digitale? Come intende affrontare il problema degli investimenti e della crescita? Quali strade intende prendere per la svolta “verde” di uno sviluppo sostenibile? L’imbarazzo del primo ministro, rispetto alla logica stringente del filosofo, sembrava la migliore spiegazione dell’ansia e della sfiducia che vivono oggi gli italiani.
In tutti i casi, l’impressione più profonda che emerge da varie analisi è che l’elettore, orfano di un dibattito politico reale e interpersonale, diffida di una classe dirigente che sembra ricercare solo il consenso dimenticandosi la soluzione dei problemi, interpretando quindi il consenso come scopo finale e non come strumento necessario per attuare una buona politica.
Quale può essere oggi la strada per una rifondazione moderna della politica e della rappresentatività democratica? La scelta migliore sembra quella di un rilancio della cultura sussidiaria, aggiornata e innervata in una società moderna.
Infatti, da dove potrà mai nascere l’immagine di un progetto di convivenza, di sviluppo, di ruolo delle istituzioni se non dall’esperienza vissuta concretamente nei territori?
Com’è possibile verificare ciò che funziona e ciò che non funziona se non si smette di tacciare come sospetta o pericolosa l’iniziativa di tutte quelle realtà sociali che oltre a offrire servizi sono anche luoghi di aggregazione e formazione delle persone? E soprattutto, com’è possibile ricostruire la fiducia delle persone, prima prerogativa per rischiare, costruire, investire? Non sono infatti le associazioni a muoversi, i sindacati e nessuna organizzazione, ma le persone al loro interno e verso l’esterno con la creazione di legami di fiducia in diversi ambiti e contesti.
Quindi, l’associazionismo che nasce nel campo sociale, le iniziative di ogni tipo che sorgono spontanee nel territorio, la sensibilità economica di valorizzare il lavoro e non l’interesse di chi specula solo su un investimento finanziario. La stessa sorte dell’iniziativa privata, di quello che viene definito libero mercato, dovrebbe sempre avere una connotazione sociale e nello stesso tempo dovrebbe seguire i rapidi mutamenti che avvengono nel mondo attuale.
Il problema di un progetto realizzabile, da tentare e magari da correggere all’occorrenza, può essere basato proprio su una maggiore valorizzazione della sussidiarietà, su una complementarietà tra iniziative associative e Stato, con lo scopo di creare un autentico spirito di comunità democratica.