…E di tutta l’innumerevole folla solo i Magi
Maria fece entrare nella fenditura della roccia.
Lui dormiva, tutto raggiante, nella mangiatoia di quercia,
come raggio di luna nelle profondità di un albero cavo.

Rimasero nell’ombra, in quel buio di stalla,
Sussurravano, trovando a stento le parole.
D’un tratto qualcuno nell’oscurità con la mano scostò
dalla mangiatoia un Mago verso sinistra,
E quello si voltò: dalla soglia alla Vergine
come un ospite guardava la Stella di Natale.

Questi versi di Boris Pasternak, intitolati La stella di Natale, non sono semplicemente una splendida pagina poetica del XX secolo, ma si sono trasformati, per molti uomini del suo tempo, in una metafora della vita.

È possibile toccare con mano il mistero, vedere il congiungersi di cielo e terra se solo ci si “lascia spostare”, si è disposti a “voltarsi” e a guardare, come fecero quei tre sapienti orientali che ebbero il coraggio di lasciare le certezze delle loro biblioteche e del loro sapere libresco per mettersi in viaggio e affidarsi al bizzarro segno di un bambino nato in una stalla.

Da un lager dell’Estremo oriente un detenuto (che era anche, a sua volta, un grande poeta, Varlam Šalamov), avrebbe scritto a Pasternak: “Ma lo sa, che i suoi versi ci hanno permesso di continuare a restare uomini, anche qui, in questo inferno?”. L’eco di pochi versi, scritti da un poeta in disgrazia impedito di pubblicare e confinato in una dacia fuori Mosca, arrivò fino a scaldare e corroborare il cuore di uomini condannati, a migliaia di chilometri di distanza, nelle gelide distese della Kolyma, alla non-esistenza.

Neppure oggi quest’eco si è spenta. Sulla scorta dei magi, sono tanti nel mondo quelli che hanno il coraggio, in questi tempi così tristi, di non rassegnarsi all’oscurità incombente e di volgersi verso la Stella di Natale che continua a indicarci la “Luce della ragione” – come la tradizione orientale chiama il Salvatore appena nato. Sono tanti anche in Russia, una Russia che non si trova sulle pagine dei giornali, ma che – per chi vive in questo paese – sta diventando sempre più la vera protagonista dell’oggi. La Russia di chi comincia a “voltarsi”, a “lasciarsi spostare” decidendo che deve assumersi la responsabilità dei problemi e delle ingiustizie che vede intorno a sé, senza giustificarsi accusando la cattiveria dei tempi e la propria impotenza. La Russia non delle folle o delle parate, ma delle persone, di singoli “io” che emergono allo scoperto, e ogni volta mi stupiscono.

Mi stupisce, ad esempio, che oggi la nuova generazione mostri di avere, nonostante tutto, dei padri, di aver recepito il messaggio del dissenso, di quella che fino a poco tempo fa sembrava una generazione fallimentare, dissoltasi nel nulla all’indomani del crollo dei muri. È il caso di padre Andrej Kordočkin – giovane sacerdote ortodosso russo che da tempo cerca di proporre un cristianesimo “in uscita”, attento in particolare al mondo dei disadattati e dei carcerati – che da parecchio tempo è parroco della comunità ortodossa a Madrid ma conserva un forte legame con il suo paese. Lo senti parlare di Martin Luther King, ma anche di Solženicyn, di personaggi storici ma oggi dimenticati – tanto in Occidente quanto in Russia – come padre Jakunin e padre Ešliman, che negli anni 60 per primi infransero la cortina di silenzio sulle persecuzioni contro la Chiesa e per questo vennero duramente puniti. E poi vieni a sapere che è uscito da un liceo molto speciale. Un liceo messo su all’inizio degli anni 90 da Vladimir Poreš – un altro dissidente oggi dimenticato – che aveva appena finito di scontare una condanna a 5 anni di lager e 5 di confino inflittagli nel 1980 per la sua appartenenza a una comunità cristiana giovanile; e aveva motivato al giudice la sua scelta dicendo: “Sì, potevo limitarmi a pregare privatamente, ma era troppo poco. Perché noi vogliamo tutto il mondo!”.

Padre Andrej Kordočkin è stato tra gli oltre cento sacerdoti ortodossi che l’autunno scorso hanno firmato una lettera aperta in difesa di alcuni giovani arrestati e di denuncia degli abusi del sistema giudiziario. Un appello che, oltre a influire sulle sorti degli imputati, ha colto di sorpresa molte persone, credenti e non, “che hanno visto che la Chiesa è in grado di pronunciare una parola libera, non è uno strumento nelle mani dello Stato”, come ha sottolineato lo stesso padre Andrej, motivando il suo gesto. Ma forse, aggiunge, questa lettera è stata innanzitutto un avvenimento per chi l’ha firmata: “È molto importante a volte, per l’uomo, sentire non solo la voce altrui, ma la propria. Quando è uscita la lettera mi sono ricordato l’inizio del film di Tarkovskij Lo specchio. Il bambino balbuziente, che dopo la seduta dal medico articola “Io posso parlare”. Finalmente ode la propria voce, che non balbetta né trema”.

Padre Andrej non è più una figura solitaria come Jakunin e Ešliman, oppure Solženicyn; appartiene alla nuova generazione, il cui avvicendamento, in politica e più globalmente nella società, “è solo questione di tempo. È gente che ama la Russia, ma ama anche il mondo, i viaggi, è gente che non vede il mondo diviso tra Est e Ovest, tra ‘i nostri’ e ‘gli altri’. Al contrario, i giovani sanno rapportarsi con i loro coetanei europei e americani alla pari, senza servilismi ma anche senza fondamentalismi e isterismi”.

Di una cosa oggi in Russia c’è un disperato bisogno – è sempre padre Kordočkin a parlare: del rispetto per la persona, di contro all’indifferenza e al disprezzo che caratterizza l’atteggiamento delle autorità nei confronti della popolazione. “La forma principale di questo disprezzo – sottolinea padre Andrej – è la povertà. E non è semplicemente una questione di potere d’acquisto, ma di strade dissestate, di baracche senza fognature, dello squallore delle città di provincia. Che un’infermiera in provincia guadagni sui 250-260 euro al mese, non è una forma di disprezzo nei confronti del suo lavoro? Le pensioni miserabili non sono una forma di disprezzo? Sono convinto che in Russia la povertà non sia semplicemente un problema economico, ma una forma di indifferenza e di disprezzo – come le gigantesche discariche di spazzatura, come le torture e le persecuzioni, e tante altre cose che ci siamo trascinati dal XX fino nel XXI secolo”.

A padre Andrej la meta è chiara – “è l’amore, la virtù della perfezione”. E ci si può arrivare, cominciando “da cose semplici che Solženicyn ci ha indicato in Vivere senza menzogna, dal rispetto gli uni per gli altri, dall’intendere l’autorità come un servizio e una responsabilità. Da noi esistono troppi meccanismi di controllo dell’autorità sul popolo, e nessun meccanismo di controllo della società sull’autorità. Oggi vediamo quanta irritazione suscitino i tentativi di mettere in atto questo controllo… La gente parla sempre di Stato in terza persona. Lo Stato è qualcosa di estraneo. Se invece capiremo che lo Stato siamo noi, e non ‘loro’, ci saremo aperti un varco colossale”.