Quale commissione bancaria

La commissione parlamentare d'inchiesta dovrebbe provare a rispondere a una sola domanda: come fare a rimettere in moto per il Paese la liquidità improduttiva degli italiani?

La questione bancaria s’impone sulla ribalta dell’opinione pubblica in occasione dei dissesti. Sta accadendo – di nuovo – in Italia dopo il commissariamento della Popolare di Bari e un salvataggio stimato in almeno 1,4 miliardi a carico del contribuente e delle altre banche nazionali. L’ennesimo crack è maturato mentre una nuova commissione parlamentare d’inchiesta tenta un faticoso avvio dei lavori. E non stupisce che un problema-Paese di primo livello venga nuovamente strumentalizzato da una conflittualità politica di corto respiro: com’è già avvenuto due anni fa in occasione della prima commissione d’inchiesta. Il risultato è che la commissione è incagliata – prima ancora di levare gli ormeggi – sullo scoglio della scelta del presidente. I contenuti – gli obiettivi del lavoro politico di una commissione bicamerale appositamente riconvocata – paiono irrilevanti: salvo i consueti preannunci di rese dei conti più o meno epocali con poteri finanziari e tecnocrazie.

A più di un decennio dallo tsunami del 2008 regole e vigilanza dell’attività bancaria presentano certamente nodi lontani dall’essere sciolti: soprattutto dopo l’avvento della supervisione unica europea presso la Bce. Ma in Italia rimangono critici tre fronti sostanziali.

Il primo è la tutela del risparmio delle famiglie: fra le vittime dei dissesti bancari vi sono i sottoscrittori di prodotti offerti agli sportelli delle tradizionali banche di deposito.
Il secondo aspetto è il sostegno al credito verso le imprese che generano Pil e occupazione. Negli ultimi anni il corto circuito fra la recessione e le regole anti-crisi volute dalla Ue hanno colpito a spirale imprese in difficoltà e banche commerciali sempre più schiacciate da sofferenze creditizie.

Un terzo momento problematico – emerso ultimamente con forza – riguarda l’occupazione e il ruolo strategico del settore bancario nell’Azienda-Paese. Per secoli, ancora prima dello Stato unitario, l’Italia ha gestito il proprio sistema creditizio con istituzioni proprie e know how propri: dando lavoro qualificato), ancora alla fine dello scorso secolo a oltre 350mila persone. Oggi questo organico è in forte esubero anche perché gran parte delle attività tradizionali delle banche italiane sono state strappate della globalizzazione (ad esempio il risparmio gestito) e dalla pressione dell’innovazione tecnologica (“fintech”: anzitutto sui circuiti digitali di pagamento).

Su questo la commissione parlamentare d’inchiesta dovrebbe accendere i riflettori. Provando a rispondere, in fondo, a una sola domanda: come fare per rimettere in moto a beneficio dell’Azienda-Italia i 1.500 miliardi di euro di liquidità che gli italiani tengono sui conti bancari, improduttivi a tutto?

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