Per le persone più fragili e vulnerabili, come gli anziani e i giovani, dal punto di vista psicologico la fase attuale di recrudescenza del Covid-19 è molto più destabilizzante della fase di completo “confinamento” che creava isolamento e solitudine ma anche un forte senso di protezione dall’irrompere dell’oscuro nemico sia esterno che interno. La speranza ora viene infranta in sentimenti di delusione che possono trasformarsi in disperazione e incapacità di proiettarsi in un futuro degno di essere atteso.



Eugenio Borgna in “Speranza e disperazione” (Vele, 2020) afferma infatti: “La speranza ci consente di aprirci al futuro, liberandoci dalla ostinata prigionia del passato e del presente”. La ripresa progressiva delle relazioni è vissuta con apprensione o angoscia per la paura di perdere i “confini” e la distanza in qualche modo protettiva non solo dal contagio, ma anche dalla messa in gioco di sé nell’incontro con gli altri.



Negli adolescenti e nei giovani questa paura si sta esprimendo in forme di ritiro o di violenza che trovano nel mondo virtuale la possibilità di disinibizione dell’istintualità, dell’aggressività e delle fantasie sessuali di controllo e di possesso dell’altro ridotto a oggetto di dominio onnipotente. Bene ha colto questo papa Francesco nella sua lettera enciclica “Fratelli tutti”: “Nella comunicazione digitale il rispetto verso l’altro si sgretola e in tal modo, nello stesso tempo in cui lo sposto, lo ignoro e lo tengo a distanza, senza alcun pudore posso invadere la sua vita fino all’estremo”.



È proprio nel periodo del lockdown la sconvolgente scoperta di un canale di chat con decine di migliaia di iscritti tra cui molti giovani e minorenni, dedicato allo scambio di immagini porno violente e inneggianti allo stupro. In seguito alle numerose segnalazioni da parte dei genitori il canale è stato chiuso a fine aprile 2020, ma ne sono nati moltissimi alternativi.

Come ho avuto modo di riscontrare in alcuni casi di adolescenti problematici che hanno aderito acriticamente a queste pericolosissime chat, la dinamica è spesso quella del tentativo psicologico di superare il vissuto di frustrazione e impotenza verso una realtà che sembra non permettere la speranza nel futuro, attraverso l’illusione dell’onnipotenza dove tutto è possibile nell’immediatezza del mondo virtuale.

Gli stessi episodi di violenza inaudita che si sono evidenziati in questi mesi da parte di giovani che attraverso reazioni aggressive e incontrollate arrivano fino all’omicidio senza motivi, possono essere letti come il bisogno narcisistico di imporre la propria “superiorità'”. Spesso però è il perseguire una falsa immagine di sé che porta i giovani più fragili a vivere in modo drammatico i fallimenti e le frustrazioni e quindi a esprimersi aggressivamente.

Questo narcisismo patologico si situa in un contesto sociale in cui domina a livello culturale il nichilismo, come afferma Antonio Polito nella sua analisi sulla violenza giovanile pubblicata recentemente sul Corriere della Sera. Egli definisce il nichilismo odierno come “quella specie di intimità con il nulla (nihil in latino) che si sta impadronendo un po’ alla volta di tanti giovani. Che svuota di valore le loro vite, e le spinge a ribellarsi a ogni regola, anche quelle più elementari di umanità, perché tanto non c’è nulla per cui valga la pena”.

Polito fa riferimento al recente libro di Julian Carròn che nel “Il brillio degli occhi. Che cosa ci strappa dal nulla?” afferma: “A differenza del nichilismo di un tempo, quello di oggi ha i tratti di una vita ‘normale’, ma con un ‘virus’ che la svuota dall’interno insinuando che niente valga la pena, niente sia in grado di attirare e di prendere veramente”.

Quasi una sorta dunque di (per rimanere nel linguaggio legato al contagio del Covid-19) “nichilismo asintomatico” che subdolamente può contagiare fino a far diventare “sintomatici” i soggetti più vulnerabili.

Per Galimberti, “il nichilismo va guardato bene in faccia. Ma la gente si rifiuta di vedere che ha perso il senso. I giovani vivono nell’assoluto presente perché il futuro non è più una promessa” (Intervento al Meeting di Rimini 2020 assieme a Eugenio Borgna nell’incontro “Le sfide del vivere nell’epoca del nichilismo”).

Come ha affermato Giorgio Cerati nel suo recente intervento su queste pagine, “il solo intervento specialistico medico e psicoterapeutico sembra avere le armi spuntate. Come un operatore o un’équipe può accogliere la domanda e inventare nuove risposte per raccogliere la sfida che pongono oggi questi ragazzi?”. La risposta non può essere solo psichiatrica o psicologica, ma questa, pur necessaria, deve integrarsi con interventi sociali e culturali e in particolare educativi.

L’educazione, afferma Polito, “è un processo complesso, richiede innanzitutto degli educatori, cioè delle persone disposte a rischiare, per farsi amare e rispettare”. Ma per permettere questo “occorrono ‘maestri’ capaci di toccare il punto infiammato che c’è nel cuore e nella mente di ogni personalità in formazione, e fortunati quelli che una volta nella vita ne hanno incontrato uno”.

Come adulti nei diversi ambiti professionali, familiari e relazionali, siamo tutti implicati. La drammaticità della situazione attuale, se guardata in faccia fino in fondo, ci può provocare a far emergere il nostro amore per i giovani riconoscendone il grido profondo di salvezza e speranza che vivono nel loro disagio.