Senza aver mai davvero assunto la gestione della crisi generata dalla incipiente seconda ondata, il Governo e le Regioni annaspano senza strategia per far vedere che qualcosa sta accadendo. I provvedimenti già proposti o allo studio assomigliano ad una scenografia da grandi manovre, con finti bersagli e un finto nemico che viene sbaragliato con semplici mosse. Una chiusura parziale delle attività, un po’ di didattica a distanza, qualche nuovo piccolo sussidio, tutte misure utili a pregare il terreno sperando, solo sperando, che le cose si aggiustino e preparando tutti ad un nuovo periodo di clausura.
Senza dubbio la situazione attuale non può e non deve essere considerata come nuova o inattesa, il nemico è alle porte da tempo ed ha preannunciato il suo ritorno. Come nelle migliori tradizioni invece che prepararci a combattere stiamo già trattando le condizioni della resa. Incondizionata e totale, senza alcuna speranza di riuscire a fermarlo. In fondo ci è andata bene già una volta, come davanti a un invasore qualunque abbiamo lasciato le strade vuote e fermato ogni cosa affidando alla sua clemenza la nostra vita. Il tributo di primavera ha richiesto molte vittime, ma i sopravvissuti si sono sentiti autorizzati a festeggiare in estate la fine della guerra, tra canti e balli e voglia di futuro. Ma l’autunno ha rimesso in pista il virus, con la sua spietatezza. È penetrato di nuovo nelle case passando dalle scuole e dal trasporto pubblico, mostrando che la pietà non esiste e che la progressione della distruzione diviene esponenziale man mano che il tempo passa.
Si sapeva ed era noto che la sanità territoriale aveva dei limiti e che gli sforzi per risollevarla non avrebbero avuto effetto. Raddoppiare le terapie intensive, comprare banchi nuovi, mettere limiti al trasporto erano misure limitate che servivano solo a mostrare sicurezza, poiché nulla si sapeva o si sa nel dettaglio di come il virus si propaga. Soprattutto nel Mezzogiorno gli interventi sono stati ridotti ed insufficienti, ampiamente tardivi ed incoerenti. Nel mentre si regolava la vita delle aziende e delle scuole, per strada tutto proseguiva all’insegna del festeggiamento. Tornare in guerra dopo aver festeggiato la vittoria è la più sfiancante delle prove, poiché si perde quella tensione emotiva ed adrenalina che accompagna ogni nuova prova. Ci voleva metodo e applicazione, riflessione e lavoro a pancia a terra. Da parte del Governo e degli enti locali che hanno smesso di parlare di virus per lungo tempo ed hanno iniziato a scaricarsi le responsabilità l’uno sull’altro.
Il Governo Conte ha cincischiato, si è perso tra commissioni ed esperti, Conte stesso ha accarezzato ambizioni personali ed ha litigato su problemi minori, lasciando il Mezzogiorno a se stesso, come il resto del Paese. Non tanto sul piano dei provvedimenti di contorno e macroeconomici, che apprezzeremo a fine 2021, ma nella sostanza della leadership.
Il suo badoglismo è divenuto prevalente nello stile comunicativo e nella sostanza dei problemi.
Ha firmato per noi l’armistizio di primavera consegnandoci al virus per tre mesi, ora si prepara a trattare la resa. Con garbo, toni pacati e provvedimenti da polizia annonaria che limita accessi ed orari mentre un incendio divampa.
Cerca spasmodicamente la resa in questa guerra, purché tutto finisca in fretta. Per non vedere martoriato il Paese, per riprendere il suo personale cammino narrativo e poter approfittare, nella sua visione, del periodo di espansione dell’economia che dovrebbe seguire dopo l’avvio delle politiche europee di sostegno della spesa.
Ma ora non serve arrendersi, non abbiamo uno stato maggiore angloamericano a cui promettere fedeltà eterna, le nostri navi mercantili e la promessa di non venire mai più meno alla fedeltà atlantica.
Il virus non farà prigionieri e non chiederà il permesso per restare o andare via, obbligandoci a combattere una guerra lunga e logorante che imporrà sacrifici e scelte e come in ogni guerra farà vittime innocenti e ci toglierà tante risorse.
Abbiamo un solo modo di reagire nel Mezzogiorno. Abbandonare per sempre quella tentazione di affidarci al nemico, di aprire le porte al regnante che cala per far conquista, di arrenderci prima che la guerra inizi e mettere in prima linea gli uomini migliori, che sappiano governare da Roma e nei territori con la testa nelle periferie, nelle zone che soffrono. Che smettano di giustificare le inefficienze della pubblica amministrazione con la sua stessa storia, il ribellismo velleitario ed egoistico e pretendano risultati e battaglie concrete vinte. Un Mezzogiorno che abbandoni i de Magistris sempre pronti a chiedere ed a lasciar fare o i Conte sempre pronti ad arrendersi, con stile e con garbo.
Se Conte non ha mai avuto la stoffa di Annibale, non per questo ha il diritto di agire come Badoglio. Si arrenda lui. Il Paese saprà farsene una ragione e troverà la forza di combattere davvero.