Celo. Non celo. Mi manca Pizzaballa. Cioè: la figurina Panini di Pierluigi Pizzaballa, classe 1939, mitico portiere bergamasco dell’Atalanta, e di Roma, Verona, Milan e Nazionale. A inizio stagione ’63-’64 la Panini non lo fotografò  perché assente per infortunio, e la figurina fu a lungo mancante; stampata poi in non molti esemplari, fu la più ricercata. Ciò finì per accrescere la sua fama, già notevole vuoi per la solida serietà professionale, vuoi anche per il curioso cognome.

Il nipote di Pierluigi, il “Pizza”, si chiama Pierbattista ed è Sua Beatitudine, il Patriarca latino di Gerusalemme. Bergamasco anch’egli, di Cologno al Serio per origini, francescano e sacerdote per vocazione, Custode di Terrasanta dal 2004 al 2016, amministratore apostolico della sede (vacante e piena di debiti) di Gerusalemme, e ora titolare a tutti gli effetti della stessa, dopo averne risanato il bilancio. “È mio zio”, mi rispose lui stesso, con un sorriso tra il francescano e l’atalantino quando gli chiesi se fosse per caso parente del famoso estremo difensore.

La nomina di Pizzaballa a Patriarca è stata sì registrata dai media, ma senza enfasi. Ormai siamo messi che tre quarti degli spazi sono per parlare, riparlare e straparlare di Covid e un quarto per il cazzeggio. Chiusi in casa, se necessario, ok; ma con le finestre aperte per guardare il mondo e non a monitorare il proprio ombelico.

Dunque quella nomina è un fatto rilevantissimo, un fatto da guardare. Pizzaballa è la presenza-chiave nel crocevia tra il cattolicesimo e il Medio oriente, e anche tra l’occidente e il Medio oriente. Presenza, s’intende, dettata da altra logica rispetto alle politiche di potenza. Chi ha frequentato il Meeting per l’amicizia tra i popoli l’ha potuto constatare, perché è intervenuto in quattro edizioni (2007, 2011, 2014, 2017).

Guardando questa presenza si resta colpiti da alcuni tratti inconfondibili.  Innanzitutto la perseveranza. “Resto” è la prima parola detta da Patriarca. Resto in nome, semplicemente, di una Presenza da testimoniare. Si vede poi come da questa coscienza nasca un’intelligenza acuta della realtà sociale e politica e l’offerta di un contributo per il bene comune cominciando “dal basso”. Ecco le sue parole:  “Resto per camminare tra voi e con voi, nella fede e nella speranza, attendendo la Forza che viene dall’alto. Non posso sottrarmi alla suggestione e al ‘peso’ di questo verbo (restare). È il verbo della pazienza matura, dell’attesa vigile, della fedeltà quotidiana e seria, non sentimentale e passeggera”. “Resto”, s’intende, a Gerusalemme. Questa città non è un dettaglio della storia del mondo: “La Chiesa non può vivere senza Gerusalemme e neanche l’Occidente, perché sono nati lì”… E il compito dei cristiani è quello di stare lì e testimoniare quella presenza con la ‘p’ maiuscola”.

Ma Gerusalemme  è anche “il cuore del mondo, dove convergono tutte le nostre aspirazioni ma anche le tensioni che sono in tutto il mondo”, e la questione israelo-palestinese, ci ricorda Pizzaballa, è decisiva anche se è stata “rimossa dall’agenda pubblica internazionale”.

Pizzaballa è un osservatore eccezionale della situazione mediorientale:  “Il Medio Oriente sta mutando profondamente: lo vediamo in Siria, Iraq, Libano. Questi Paesi sono il campo di battaglia dei grandi player della regione, Turchia, Emirati, Iran, Arabia Saudita, con i loro alleati Russia, Stati Uniti, Cina. L’Europa è da tempo è fuori dai giochi e anche in questi ultimi eventi mi sembra che non sia pervenuta. Tuttavia io credo che finché non ci sarà una soluzione chiara e dignitosa per il popolo palestinese non ci sarà stabilità nella regione. C’è una popolazione di milioni di persone che attende una parola chiara come popolo e come nazione”.

Per il Patriarca, la soluzione “Due popoli, due Stati”, sostenuta dalla comunità internazionale e dalla Santa Sede, è quella giusta. I palestinesi hanno anch’essi diritto a una terra, a una nazione. Tuttavia “in questo momento è molto difficile realizzarla perché non c’è dialogo tra le due parti. Da anni  israeliani e palestinesi non si parlano più, non c’è fiducia reciproca. La stessa comunità internazionale non è più presente, a parte il sostegno economico all’Autorità palestinese”.

Politica e diplomazia hanno le armi spuntate, occorre un cammino che coinvolga le persone e le società, un “lavoro sui tempi lunghi. Parlare di pace tra i due oggi è utopia. Servono gesti che ricostruiscono, nel territorio, la fiducia reciproca. Serve visione e leadership adesso assenti in entrambe le parti”. Ed ancora: “Occorre tenere presenti le lezioni e i fallimenti del passato, gli accordi disattesi. Oggi possiamo lavorare nelle scuole, negli ospedali, nei gruppi, nei centri culturali che non sono realtà di nicchia ma un resto importante che resiste”.

Guarda che bell’aria fresca viene dentro dalla finestra aperta. Pizzaballa? Celo.