“Non porto la mascherina come lui. Ogni volta che lo vedi porta la mascherina”. Queste due frasi del candidato Repubblicano, rivolte allo sfidante Biden durante il primo – o ultimo? – dibattito della campagna elettorale, non possono essere usate contro la persona di Donald Trump. Ora è un altro dei milioni di infettati nel mondo che hanno bisogno delle migliori cure e dei migliori auguri. Tuttavia, queste parole del 45° Presidente degli Stati Uniti rivelano fino a che punto la realtà è testarda e si ostina, in senso figurato, a smontare costruzioni ideologiche.

Di certo, il virus non ha nessun obiettivo, non è neppure chiaro se sia un essere vivente. È parte di una natura che non ha coscienza, che è madre solo in senso figurato (le metafore sono pericolose), che non premia, non si vendica, ma che esige da chi una coscienza ce l’ha di seguire un principio fondamentale: far prevalere i fatti sulle interpretazioni. Non vi è certezza scientifica, ma se i collaboratori di Trump, nelle numerose riunioni delle ultime settimane, avessero usato la mascherina, si fossero riuniti in luoghi ventilati e avessero tenuto conto delle poche evidenze che abbiamo sul virus, è possibile che il Presidente degli Stati Uniti non si sarebbe contagiato.   

Questa natura senza coscienza e la sua minaccia descrivono la coscienza di ciascuno, le culture, i sistemi politici, le debolezze, i punti di forza e le situazioni economiche. L’Ue, così lenta e reticente a sviluppare una politica estera comune, più necessaria che mai, ha saputo fare un passo avanti rendendo più flessibili le regole su debito e deficit (problemi di un’altra epoca) e creando il fondo Next Generation Eu. Quello che sembrava un tronco secco si è rinverdito. La Germania è stata descritta come un Paese dove i giovani non vivono in famiglia, con un buon sistema sanitario, prammatico, con un modello federale che funziona, con un accordo politico di base tra i principali partiti che permette di risolvere i problemi. La Francia è stata fotografata come un Paese molto più distante dalla Germania di quanto proclamino i suoi leader, spesso poco trasparente, ma con alcuni servizi pubblici che funzionano. L’Italia, colpita duramente nella prima ondata, fragile per l’instabilità politica e la stagnazione economica, ha saputo ricorrere alla sua proverbiale flessibilità.

E la Spagna? Nella prima ondata è stata descritta come un Paese con un pessimo governo, esempio di riduzione ideologica, ma allo stesso tempo con un personale sanitario professionale che, spesso senza mezzi, ha dato il meglio di sé. Questa stessa energia sociale dimostrata tra marzo e giugno negli ospedali si è riversata in iniziative di solidarietà e di volontariato. La seconda ondata ha ulteriormente definito questa immagine.

Né la classe politica, né il modello dei servizi pubblici, né il modello territoriale hanno resistito bene alla prova dello stress che comporta la pandemia. Il Governo di minoranza di Sánchez, a metà luglio, quando è terminato lo stato di emergenza e si è ridotto il primo picco, ha trasferito tutte le responsabilità alle Comunità Autonome, ai Governi regionali. La sua debolezza, la sua incapacità di generare consenso, il suo rifiuto a un accordo minimo con la destra sono tutti fattori che lo hanno portato a rinunciare a gestire la crisi sanitaria, una volta passata la prima ondata. Non aveva la forza parlamentare per mantenere lo stato di emergenza o altre formule che ne consentissero un’attenuazione progressiva.

A metà agosto, gli indicatori a disposizione del Governo di Sánchez già mostravano che la Spagna si trovava in una situazione allarmante. Non sono stati però creati strumenti sanitari, né amministrativi, né legali che permettessero un efficace lavoro comune. Solo qualche giorno fa sono stati fissati criteri generali in funzione di lockdown locali. La gestione dei dati è stata caotica, la riduzione delle restrizioni troppo rapida e precedente a un rafforzamento del sistema sanitario. Gli spagnoli hanno scoperto che hanno una delle migliori medicine ospedaliere del mondo, ma un sistema di assistenza di base debole e che i medici hanno carriere molto difficili e sono mal distribuiti. Sono mancati i test e gli strumenti di monitoraggio sono arrivati tardi. Sono emerse le debolezze del sistema territoriale, il sistema delle Comunità Autonome, con le stesse competenze di un sistema federale ma senza i suoi meccanismi di coordinamento. E al fondo, un modo di far politica che dal 2004 trasforma l’avversario in nemico, malattia che colpisce anche una destra divisa e debole, senza una chiara strategia. La classe politica, con le sue lotte, ha aumentato lo scetticismo e la sfiducia.

Il Governo di Sánchez, minoritario, ha preso alcune, poche, buone decisioni. Il sistema di protezione degli ERTES (Sicurezza sociale per i lavoratori di imprese in difficoltà) e l’Ingreso Mínimo Vital (reddito minimo garantito per le famiglie senza protezione) si sono rivelati buoni strumenti sul piano lavorativo e sociale. Tuttavia, nell’avviarli, il Governo ha dovuto constatare che l’Amministrazione centrale non era in grado di gestirli, uno scioccante bagno di realismo in un Paese nel quale una narrazione dominante ha sempre sostenuto che lo Stato era la soluzione di tutti i problemi. Giunta la crisi, lo Stato reale, non quello pensato o ideologizzato, si è rivelato non avere sufficienti capacità.

Non è solo Trump a togliersi la mascherina, ci sono molti modi per negare i fatti.