Poco più di due mesi fa, nell’ingresso di una scuola di Madrid, tre giovani dipingevano frecce verdi e rosse. Indossavano abiti sportivi, nel caso si sporcassero, non erano pittori professionisti e non erano molto abili. Erano il professore di matematica e il professore e la professoressa di spagnolo. Né il Governo nazionale, né la Comunità autonoma avevano dato istruzioni chiare su quando e come riaprire le classi. Le indicazioni arrivarono solo qualche giorno prima che i bambini potessero tornare in aula. Molte scuole paritarie hanno potuto contare sui loro professori per realizzare con urgenza i lavori necessari. Ora quei tre professori che da dieci settimane tengono le loro lezioni, con mascherina e finestra aperta, dedicano buona parte del loro poco tempo libero a capire come la scuola paritaria si inserisce nella nuova legge sull’istruzione in approvazione questa settimana in Spagna. Si tratta dell’ottava riforma in 40 anni in un Paese dove, dopo la transizione alla democrazia, l’insegnamento è stato motivo di confronto e, più o meno dal 1978, il diritto all’educazione e alla liberta di insegnamento causa di scontri.
C’è bisogno di una riforma del sistema educativo spagnolo, su questo non vi sono dubbi. I programmi sono troppo estesi e tendono a essere trattati poco approfonditamente. Il tasso di abbandono scolastico precoce si è considerevolmente ridotto negli ultimi anni, ma con più del 17% continua a essere al di sopra degli obiettivi della Commissione europea. Le formule per un rafforzamento non sono ancora efficaci. La formazione professionale continua a non avvicinarsi al mondo dell’impresa e a essere bollata come opzione per i perdenti. L’unico parametro in cui spiccano gli alunni spagnoli nelle valutazioni PISA è la competenza globale: la soft skill del rispetto verso l’altro. I risultati in matematica, nella comprensione della lettura e nelle scienze necessitano di miglioramento.
Il cambiamento promosso dal Governo Psoe-Podemos già andava nella direzione contraria ai bisogni reali. Durante la discussione in Parlamento si è aumentata l’ideologizzazione per via degli accordi con i nazionalisti baschi e catalani. Podemos, molto lontano dalla moderazione socialdemocratica propria della sinistra europea, ha aumentato l’intervento dello Stato e la colonizzazione radicale dei contenuti. Soprattutto in quelle materie in cui non c’è consenso e nelle quali il potere decisionale dei genitori deve essere particolarmente tenuto in considerazione.
È discutibile che, come prevede il progetto, la facilità a essere promossi, malgrado le bocciature, serva a migliorare la qualità dell’insegnamento, specialmente nella scuola superiore. In pratica tende a ridurre l’autonomia di decisione dei docenti. La cancellazione di un sistema oggettivo di selezione degli ispettori scolastici fa temere una politicizzazione dell’amministrazione.
A meno di qualche tipo di disobbedienza da parte delle Comunità Autonome, la scuola paritaria perderà libertà. La scuola paritaria, malgrado le sue imperfezioni e i suoi limiti, è un esempio di sussidiarietà educativa e ha finora permesso all’iniziativa sociale di scolarizzare tra il 30 e il 40 per cento degli alunni con finanziamento pubblico. La nuova legge prevede solo l’aumento dei posti nella scuola pubblica. Si elimina la domanda della società, le richieste dei genitori come criterio per pianificare scuole paritarie, si impedisce la cessione di suolo comunale, ciò che in concreto rende difficile la costruzione di nuove scuole. Si obbligano i bambini ad andare nella scuola di quartiere, impedendo ai genitori di scegliere, com’è successo finora, nei distretti regionali, una formula che dà molte più possibilità.
La limitazione della libertà è un fatto, ma un’altra cosa è trovare la risposta più adeguata a un Governo che rimarrà in carica almeno per altri tre anni. Si dovrà valutare se certe risposte e certe guerre culturali contro la nuova legge possono provocare reazioni controproducenti in chi detiene il potere. L’importante è non perdere ulteriore spazio. Questa situazione indesiderata, questa minaccia alla libertà forse può essere l’occasione per prendere coscienza del risultato del sistema paritario. Non senza problemi, e con le restrizioni nelle Comunità autonome governate dai socialisti, l’insegnamento di iniziativa sociale ha educato quattro spagnoli su dieci negli ultimi 35 anni.
I risultati educativi non si misurano solo con l’acquisizione di soft o hard skills, assolutamente utili e necessarie in ambito professionale. Lo scopo educativo si concretizza quando l’ipotesi offerta è accettata o rifiutata dal giovane in un processo critico nel quale matura come soggetto. Per questo parliamo tanto di emergenza educativa, perché spesso non avviene l’incontro tra le due libertà, quella dell’educatore e quella del giovane. Noi adulti, spesso attanagliati dalla paura e dal disorientamento, siamo incapaci di rischiare davanti alla libertà degli studenti che ci si presentano come un enigma indecifrabile.
Sarebbe paradossale se la nuova battaglia per la libertà di educazione, che dovrebbe essere guidata più che mai da prudenza e realismo, non fosse un’occasione per approfondire quanto si dà spesso per scontato: come educare alla libertà. Probabilmente è ciò che avevano in mente i tre professori messisi a fare i pittori.