The Economy of Francesco è quella di coloro che tengono, che ogni mattina si mettono al lavoro o allo studio, che non perdono mai la speranza: a cominciare da quella di poter cambiare l’economia. L’appuntamento di Assisi – da domani per tre giorni – si annuncia di per sé come una testimonianza forte.
Avrebbe dovuto svolgersi a fine marzo, ma la pandemia era al suo picco. In novembre il Covid morde ancora: in Italia e in tutti i 20 Paesi di provenienza degli economisti, giovani imprenditori e changemaker invitati da Papa Francesco. Non potranno essere fisicamente presenti ad Assisi neppure stavolta, ma la community – a cominciare dal Pontefice – non ha avuto esitazioni. L’evento si tiene: non ha paura del virus, accetta la sfida digitale, sperimenta il change. Soprattutto: vuol dire la sua in questa fase cruciale di cambiamento socioeconomico, di rimessa in discussione delle cose ma anche degli sguardi umani sulle cose.
“Il fine da perseguire è quello di chiedere al mercato non solamente di continuare a produrre ricchezza e di assicurare uno sviluppo sostenibile, ma anche di porsi al servizio dello sviluppo umano integrale, di uno sviluppo cioè che tenda a tenere in armonia tre dimensioni: quella materiale, quella socio-relazionale e quella spirituale”. Lo scrive l’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, nell’editoriale di Atlantide (l’ultimo numero della rivista della Fondazione per la Sussidiarietà è monografico su The Economy of Francesco). “Il mercato “acivile”, mentre assicura un avanzamento sul fronte della prima dimensione, quella della crescita – e il Papa esplicitamente lo riconosce – non migliora certo le cose rispetto alle altre due dimensioni”.
La sfida dell’economia sostenibile è culturale prima che tecnica o politica. Che il modello libero-capitalista non sia più sostenibile è sotto gli occhi di tutti: e nessuno può affermare di non aver udito o letto le parole di Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium” (2013), nell’enciclica “Laudato Sì” (2015), programmaticamente francescana, e infine nell’enciclica “Fratelli Tutti” dello scorso settembre. “L’attuale economia di mercato – sottolinea ancora Zamagni su Atlantide – postula l’eguaglianza ex-ante tra coloro che intendono prendervi parte, ma genera ex-post diseguaglianze di risultati. E quando l’eguaglianza nell’essere diverge troppo dall’eguaglianza nell’avere, è la ragion stessa del mercato a essere messa in dubbio. Ed è precisamente in questo senso che va interpretato il monito di papa Francesco: se si vuole “salvare” l’ordine di mercato occorre che questo torni a essere un’istituzione economica tendenzialmente inclusiva. È la prosperità inclusiva la meta cui guardare”.
La povertà operosa e inclusiva dei frati francescani e la prosperità sobria e inclusiva dei monaci benedettini: due declinazioni di una stessa “economia del bene comune” ispirata a un uso saggio delle risorse ambientali e del capitale umano. Nel Medioevo quelle comunità convivevano quotidianamente con epidemie, carestie guerre. Qualche volta dovevano spostarsi, in luoghi sconosciuti e inospitali: talora in paludi dove dove tutto andava bonificato e costruito di nuovo. Che decidessero di sfidare un’invasione o che cercassero nuovi spazi e nuovi modi, erano uomini che volevano resistere: non cedere al disordine distruttivo. La “dottrina di Assisi” è questa.