A chi tocca “salvare” il Natale?

Il governo intende "salvare il Natale". Ma siamo sicuri che dipenda da lui? O non siamo piuttosto noi ad avere bisogno di essere salvati?

Se c’è una cosa che mi ha sempre fatto venire l’orticaria fin da piccolo sono i discorsi moralistoidi sul Natale. Quelli ancora deamicisiani degli anni 60, tipo “Natale, ci si sente più buoni”, che trovai in prima media in una nota dell’antologia di italiano a cura di tali Consonni e Mazza. Poi quelli anticonsumistici degli anni 70: ricordo preti per il socialismo scagliare anatemi in predica contro il povero panettone (dalla cui produzione e vendita dipendeva peraltro la vita di migliaia di famiglie dei lavoratori Unidal dell’ex Motta e Alemagna). E oggi i discorsi variegati e cerchiobottisti del capo del Governo. In format omelia il colpo al cerchio: “Natale non è solo shopping, fare regali”, che prende subito una piega vagamente deista: “A prescindere dalla fede religiosa è senz’altro anche un momento di raccoglimento spirituale” e detta anche le forme liturgiche:  “Farlo con troppe persone non viene tanto bene”. Per il colpo alla botte viene buono il mitico “ma anche” di veltroniana memoria: “Ci auguriamo comunque che l’economia possa svilupparsi, che si possano fare acquisti e scambiare doni”. Finale rigorosamente post-tridentino: sono peccati mortali “baci, abbracci, festeggiamenti, festoni, festini, indipendentemente dalla curva epidemiologica”.

Già il 25 ottobre l’obiettivo era chiaro: “Confidiamo di arrivare con una predisposizione d’animo serena a Natale”. Con l’animo predisposto due mesi prima, l’Avvento è salvo. Manca solo di salvare il Natale. Si riuscirà? Non si riuscirà? Dipende da erre con ti (ma sì, l’indice Rt, quello della contagiosità). La data fatidica è il 4 dicembre, quando “si vedrà se l’obiettivo Rt  sotto 1 è stato raggiunto. In quella data si capirà se le misure hanno funzionato in modo da salvare il Natale”. Ma non è finita: altro colpo alla botte, perché  per accontentare clientele e raccattare consensi la politica ha sempre in serbo un jolly: si chiama deroga: “Per Natale possono essere previste deroghe”.

Ecco.

E adesso due osservazioni, che vorrebbero essere serie.

La prima. Ma è mai possibile che (quasi) tutta la politica e (quasi) tutto il dibattito pubblico abbia un orizzonte temporale che arriva al 25 dicembre, massimo alla notte di Capodanno?

Ricapitoliamo. C’è stata la Commissione Colao, chi se ne ricorda? Insediata in aprile con il compito di studiare le strategie per la ripresa (la cosiddetta fase due), ha consegnato un centinaio di progetti, finiti non si sa se in archivio o nel tritacarta. Subito dopo, a giugno, gli Stati generali, con l’obiettivo nientemeno che di “reinventare l’Italia”, così come quelli francesi del 1789 intendevano “reinventare la Francia”. Tritacarta o archivio anche per quella mediatica iniziativa. Poi lo sbandierato Recovery Found, una paccata di miliardi della fu vituperata Europa, condizionati a un piano preciso che garantisca che l’Italia non li distribuirà a pioggia, cioè non li butti via. Dibattito pubblico, niente. Tempistica: siamo in ritardo. Notizie fresche? Sì, che i vari ministeri hanno chiesto complessivamente fondi per 35 miliardi in più del tetto. Così adesso si lavorerà di forbici e lima, cioè a bracci di ferro e litigi interni. Invece sarebbe bene sapere qualcosa che riguardi il 2021, il 2022 (almeno).  Progetti dotati di visione e concretezza. Covid o non Covid,  il mondo marcia e nessuno ci aspetta. Su sviluppo sostenibile, digital economy, education, sanità occorrono non improvvisazioni, ma strategie operative di lungo periodo, e non pensate a tavolino ma a partire dalle migliori esperienze in atto, che ci sono.

La seconda osservazione è della serie “scherza coi fanti e lascia stare i santi”. Detto in altri termini, quelli della sana filosofia di Renato Pozzetto: “Il Natale quando arriva arriva”. È inconfutabile come la sentenza del vecchio Parmenide: “L’essere è, il non essere non è”. Infatti il Natale è. Non dipende da nessun indice. Quando arriva arriva. È un Avvenimento che accade di suo, gratuitamente. La politica, se può, cerchi di salvare salumieri, giocattolai, pasticceri, e quant’altro, ci mancherebbe. Ma non si occupi di salvare o non “salvare il Natale”. La sola espressione mi fa venire l’orticaria, come l’antologia di Consonni e Mazza e il prete anti-panettone.

Il nocciolo della questione l’ha già scritto per tempo e chiaro che meglio non saprei il mio amico Giorgio Paolucci sull’Avvenire del 15 novembre. Perciò gli prendo a prestito, e chiudo, poche  righe per me cruciali: “In questi giorni da più parti si sente dire che dobbiamo salvare il Natale, riferendosi alla necessità di invertire il trend negativo dei consumi. Ma quello che accade ci sfida a riconoscere che abbiamo bisogno di essere salvati noi dal Natale… dal Dio che si è fatto compagno di strada della nostra fragilità”.

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