È paradossale, ma alle soglie del Natale, in un Paese che chiuderà l’anno con quasi 80.000 morti, la Camera dei Deputati ha approvato con un’ampia maggioranza una legge con cui l’eutanasia diventa una questione soggettiva. La Spagna diventa così il quarto Paese dell’Unione europea, il sesto nel mondo, a consacrare la morte come una prestazione da fornire. Il dibattito politico è stato segnato da fretta e leggerezza. Il Governo aveva bisogno di esibire al più presto qualche risultato nella cosiddetta “agenda sociale”.

La nuova regolamentazione viene portata avanti mentre rimane bloccata una legge sulle cure palliative per chi è negli ultimi momenti della propria vita. Come ha evidenziato uno dei politici con esperienza in questo campo, e con un grande buon senso, non disporre di una buona assistenza palliativa e aver trasformato l’eutanasia in un diritto fa sì che, in molti casi, i pazienti terminali siano costretti a scegliere tra il dolore e il suicidio.  

In Spagna si muore male: più di 75.000 persone non ricevono le cure necessarie. I servizi specializzati in questo ramo della medicina sono solo 1,2 ogni 200.000 abitanti, mentre le raccomandazioni degli organismi internazionali sono che arrivino a 4. Spesso, l’ultima ora arriva in una stanza condivisa, senza che il paziente abbia ricevuto informazioni o cure specialistiche. Senza cha ci sia stato tempo e spazio per la sua sofferenza e per capire quale potesse essere il modo migliore per alleviarla ed essere assistito. Per tutto ciò occorrono risorse, medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali specializzati.

C’è chi desidera una morte rapida. Gli specialisti dicono che sono una minoranza. Non si può, non si deve giudicare queste situazioni, ma trasformare il desiderio di pochi in un diritto universale, come visto in Olanda, diffonde l’oscura seduzione della morte. Quest’anno, nel Paese dei tulipani, si è discusso se estendere l’eutanasia a chi abbia perso il gusto di vivere. Cresce l’attrazione per la morte, per lo sciogliersi nel nulla, cessare di esistere. Un’attrazione che è più forte per chi è solo, per i poveri, per coloro che pensano di essere diventati un peso per gli altri.

Attrattiva della morte e del nulla in un anno nel quale abbiamo lottato con tutte le nostre energie contro una pandemia che ha colpito, soprattutto, tra gli anziani: come si spiega questa apparente contraddizione? Ci siamo scoperti dipendenti da un virus invisibile, dall’insufficiente conoscenza, da una globalizzazione che collega tutti gli angoli del pianeta. Ci siamo trovati dipendenti dai medici che ci curavano, dalle cassiere dei supermercati, da quelli che facevano le consegne, dai vicini che ci compravano il pane. Ma non vogliamo dipendere. Questo non è solo conseguenza dei cattivi governi, è qualcosa che ci portiamo nel profondo.

Rifiutiamo l’idea di dipendere da una malattia che non controlliamo, da un futuro senza autonomia, dominato dal dolore e dal limite. Questo orrore ci allontana dall’istante: siamo ossessionati dal fantasma di quello che verrà. Sospettiamo che, se il caso ci mette in determinate circostanze, tutto ciò che appare solido crollerà e la vita si trasformerà in un brutto scherzo. Occorre riconoscere che in questo sia i sostenitori che i detrattori dell’eutanasia si incontrano. Quando non si tratta di un dibattito di idee, ma di essere ai piedi di un letto, o tra le lenzuola di un ospedale, tutti pensiamo che la dipendenza oltre certi limiti sia un inganno, un furto del destino, forse qualcosa di sopportabile con rassegnazione.

Senza questo esercizio di sincerità difficilmente si può trovare una risposta alla seduzione della morte e del nulla. Se non troviamo una dipendenza positiva, concreta, che domini il momento presente, siamo tutti alla mercé della ruota della fortuna.