Il Congresso americano ha appena approvato un nuovo maxi-pacchetto da 900 miliardi di dollari in sostegni diretti a famiglie e piccole imprese in crisi-Covid. Una misura d’emergenza, decisa in via bipartisan da Camera e Senato, in attesa che Joe Biden il prossimo 20 gennaio entri effettivamente alla Casa Bianca. Per questo gli osservatori – politici e di mercato – guardano già con impazienza al dopo: alle prime mosse strategiche di un neo-presidente chiamato a sfide difficili.
Biden dovrà rilanciare un’economia non prostrata ma certamente piegata dalla pandemia. E il compito appare insidioso per il fatto che Donald Trump è stato sì bocciato nelle urne dalla gestione sanitaria dell’emergenza, ma fino allo scorso febbraio il suo governo dell’economia risultava ampiamente promosso dalla disoccupazione ai minimi, dal buon ritmo del Pil e dai massimi di Wall Street. Senza Covid, Trump sarebbe stato verosimilmente confermato presidente: e con lui la sua politica economica imperniata su una riforma fiscale decisamente pro-business.
Non sapremo mai se e come Trump-2 avrebbe affrontato un doppio punto debole della sua strategia: l’attenzione quasi nulla sia verso le diseguaglianze socioeconomiche (alla quasi piena occupazione si è accompagnata una stagnazione dei salari) sia verso lo strapotere crescente dei monopoli digitali. Contro “Gaaf” non si è dovuto attendere l’insediamento di Biden: l’Ftc (l’autorità antitrust Usa) e un pattuglione bipartisan di governatori hanno già rotto gli indugi e acceso fari d’inchiesta sui giganti della Silicon Valley (su tutto: elusione fiscale, pratiche anticoncorrenziali, dubbia tutela della privacy). Ma cosa si annuncia per tutti gli americani rimasti “dimenticati” nonostante le promesse iniziali di Trump?
Fra i bazooka che Biden terrebbe nel suo arsenale uno sta attirando crescenti curiosità e attese: è l’impegno di principio – affermato in campagna elettorale – di sollevare 45 milioni di americani di parte dell’enorme “debito universitario” accumulato. Nel 2020 il totale dei prestiti accordati per la frequenza di studi universitari è salito al record di 1.560 miliardi di dollari, con una media di 37mila dollari a debitore. L’ipotesi di debt jubilee del presidente eletto guarda a un’operazione iniziale di oltre 400 miliardi di dollari: con una cancellazione standard, a carico del bilancio federale, di 10mila dollari a debitore. Biden è sembrato nel frattempo già raccogliere le obiezioni riguardo manovre troppo indifferenziate, che possano finire per aiutare chi non ne ha bisogno e aiutare troppo poco chi è in difficoltà vere. E’ una linea d’intervento che sembra comunque orientata a un intero set di obiettivi di politica economica e sociale.
Nel brevissimo termine il relief del debito di studio libererebbe liquidità nei conti di decine di milioni di famiglie, senza necessità di attivare circuiti burocratico-bancari. Soldi utili a far ripartire i consumi e a consentire alle famiglie beneficiarie di reggere altre scadenze finanziarie: anzitutto i mutui immobiliari, ma anche le rette scolastiche dei figli e soprattutto i piani sanitari e pensionistici. La manovra sarebbe prevedibilmente finanziata da una correzione peggiorativa della fiscalità “trumpiana” sui redditi (e patrimoni) più alti e avrebbe un effetto redistributivo molto visibile sul piano sociale.
Una parte rilevante del debito universitario pesa infatti sugli americani millennial (statisticamente i nati fra il 1981 e il 1996, altrimenti detti “generazione Y”). Si tratta di un quarto circa della popolazione americana: cui oggi le statistiche attribuiscono il controllo del 3% soltanto della ricchezza nazionale. Il confronto con le macro-generazioni precedenti (nati fra le due guerre mondiali, baby booomers e “generazione X”) è impietoso: alla stessa età i babyboomers (1945-1964) erano già “padroni” del 21% del patrimonio americano, di cui oggi detengono una fetta maggioritaria. Cancellare i debiti universitari avrebbe quindi un valore più che simbolico sul piano sociopolitico: sul terreno critico delle diseguaglianze. Né andrebbero trascurate altre valenze positive: la nuova amministrazione dem porrebbe al centro dell’agenda americana l’education, in particolare quella avanzata, universitaria. Se Barack Obama – di cui Biden è stato per otto anni vice – aveva posto come priorità “Medicare”, cioè lo sviluppo di una nuova sanità pubblica, la nuova Casa Bianca sembra scontare interventi straordinari nell’healthcare nell’uscita dalla pandemia. Se la cancellazione dei debiti universitari pregressi fosse invece accompagnata da politiche di sostegno alla scolarità – in particolare universitaria – sarebbe evidente una specifica accentuazione politico-economica rispetto all’ex presidente tycoon. Nel ventunesimo secolo la “ricchezza americana” – nella visione democrat – si produce in misura decisiva nella ricerca e nell’insegnamento universitario. E si alimenta di tutti i talenti sparsi nel popolo americano: tornare ad offrire pari opportunità educative a tutti i giovani americani significa puntare sempre su un’America First, ma molto diversa da quella immaginata da Trump.