Il Sud che l’Europa attende

Il Sud deve avere le carte per rappresentare la grande risorsa che l'Unione Europea ha perduto con la Brexit. Ultima chiamata per il governo

La Gran Bretagna ci ha lasciato. Niente più week-end veloci per lo shopping o mesi di studio in college a prezzi popolari. La chiusura di una metafisico ponte tra Calais e Dover chiude qualche decennio di sperimentale contaminazione reciproca tra le due sponde. Un tentativo di mettere assieme sistemi di misura, ordinamenti giuridici e stili di guida completamente diversi. La Gran Bretagna non ha mai rinunciato alle sue tradizionali differenze e peculiarità, non ha accettato la moneta unica o più semplicemente le regole sulla agricoltura mantenendo un fiero isolamento. Il contributo dei sudditi di Elisabetta alla storia europea è sempre stato fondamentale nel suo essere estemporaneo e legato ad eventi tragici. Primo tra tutti la guerra al nazifascismo. Non è mai stata però un pezzo di Europa politica, nel senso che non ha voluto mai farsi promotrice di una organica visione dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.

Aderì alla Cee nel pieno della crisi petrolifera degli anni 70, ma già con la Thatcher pretese delle norme speciali per sé (rifiutando ogni solidarietà finanziaria) e l’adesione alla Ue, dopo la caduta del muro di Berlino, non ha mai cancellato la diffidenza per le regole condivise. Avremo con gli inglesi una “special relation” ma non potranno essere più un ostacolo, o una scusa, per non velocizzare il processo di convergenza dei paesi della Ue verso una maggiore integrazione. Siamo stati il loro piano B per decenni, ma, in realtà, non hanno mai creduto ad una reale integrazione. Ci lasciano con una sfida. Andate avanti, se potete.

Ora che la Brexit è compiuta l’Europa ha aperto un fronte del tutto nuovo che, per il nostro paese, rappresenta una sfida, prima di tutto politicamente, essenziale. I soldi che l’Ue ci ha destinato non sono una forma di ristoro per la crisi pandemica, che è un accidente fondamentale ma non essenziale, sono in realtà la presa di coscienza che nei confini fisici della Ue esistono aree i cui parametri di crescita economica e sociale sono del tutto inaccettabili per chi guida la politica in Europa. Non per il governo nazionale, ma per la Commissione europea e per i paesi centrali in questo processo, Germania e Francia, la convergenza del Mezzogiorno attraverso una crescita più rapida dei propri parametri economici è un obiettivo imprescindibile per ridare all’Unione lustro politico.

Non ha senso, infatti, un’Europa unita che non riesca a portare le aree più depresse economicamente ad avvicinarsi a quelle geograficamente contigue. Non ha senso perché la natura stessa dell’Unione è quella di creare un mercato ed uno spazio politico equo attraendo i paesi ed i popoli con la promessa di maggior benessere. Accettare di sottostare a regolamenti e direttive ha come contraltare, promesso, l’accesso ad un benessere diverso. Ma se all’interno della Unione, e dei suoi Stati, resistono sacche amplissime di arretratezza, come si può, si sono chiesti a Bruxelles, apparire credibili.

Per questo, e solo per questo motivo, la massa di denaro che l’Italia ha ottenuto è maggiore e di tanto, rispetto a quella destinata ad altri Paesi.

L’obbiettivo è di portare in Europa anche di fatto interi territori che lo sono solo formalmente. Rimettere al centro il futuro dell’Unione e dare forza alla coesione attraverso sforzi concreti. Ed in questa direzione dovranno andare i progetti dei singoli Paesi, in particolare il nostro, per essere approvati. L’Europa sta promuovendo un South Stream per contrastare la Brexit, che ha dimostrato che la disgregazione è possibile quando non si agisce con agende politiche condivise e che la vita stessa dell’Unione ha senso solo se porta benessere diffuso.

Il governo Conte non sta dando prova di aver compreso. Tra sgravi fiscali per rubinetti e monopattini, della bozza di finanziaria in approvazione, ed una malcelata insofferenza per Provenzano, che si darebbe troppo da fare, il Governo ha pochi giorni per rimettersi in riga. I progetti da presentare dovranno seguire questa strada e non le sotterranee vie delle lobby che ben hanno compreso, anche con i grillini, come dialogare. Ora ci sarà da attendere che i progetti vengano presentati per evitare che dopo la Brexit l’Europa non debba sopportate il fallimento dello sforzo finanziario eccezionale che è il Next Generation Eu. Perciò negli accordi sull’erogazione tempi e monitoraggio della spesa sono ferocemente stabiliti. Se il Governo non darà le risposte giuste nelle direzione richiesta, ovvero lo  sviluppo impetuoso del Mezzogiorno con un South Stream che trasporti denaro e sviluppo, stavolta a fare le valige non sarà Albione la Brexit, ma Conte con il suo Governo. In Europa sono stati chiari. La sfida non intendono perderla.

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