Sulla spianata di fronte alla Basilica della Natività si possono ascoltare le foglie rosa delle buganvillee trascinate dal vento sulla pietra bianca. Non c’è confusione, non si sentono passi e voci venute da molti angoli del pianeta. Non c’è neanche il venditore ambulante di caffè turco, né ci sono code per scendere alla grotta della Natività. Il nuovo angelo, scoperto negli ultimi lavori di restauro, con le sue ali azzurre, i suoi occhi a mandorla e le sue grandi mani, non alza al cielo le preghiere dei pellegrini, come ha fatto durante gli ultimi quattordici secoli. Neanche nel periodo dell’Intifada, nel 1987 quando si viveva in una situazione di guerra nascosta, cessò come adesso il flusso dei visitatori.

Il Covid ha creato una situazione inedita in Terra Santa e c’è chi dice che non si viveva niente di simile da 1.600 anni. Le restrizioni impediscono l’arrivo dei pellegrini, che nel 2019 furono tre milioni e mezzo. Il buon andamento del settore alberghiero aveva generato investimenti e un considerevole aumento delle camere disponibili. In un anno normale i visitatori internazionali in Palestina portano un 40% delle entrate in valuta estera e danno lavoro a 32.000 persone. Una parte importante riguarda la minoranza cristiana nativa della terra di Gesù e, nel 2020, le perdite potrebbero arrivare a 250 milioni di euro. Un motivo in più perché aumenti la tragica migrazione di battezzati, causata da decenni dalle difficoltà economiche e dall’occupazione israeliana di parte della Cisgiordania.

La Messa della notte di Natale è stata celebrata senza fedeli, perché l’Autorità Nazionale Palestinese non ha permesso la partecipazione in presenza. I negozi delle vie di Betlemme sono chiusi, non c’è nessuno che compra i lavori in legno di ulivo. Dall’altro lato del muro, nella Città Vecchia di Gerusalemme, le vie sono altrettanto deserte. Il Covid non è stata l’unica ragione che ha reso più difficile la situazione dei cristiani in Terra Santa. In Cisgiordania, in Israele e a Gaza è aumentata la pressione che da tempo rende difficile la loro vita.

Nella Striscia di Gaza, dove tra molte difficoltà rimangono una comunità ortodossa attorno alla storica parrocchia di San Porfirio e una cattolica intorno alla parrocchia della Sacra Famiglia, Hamas continua la sua politica di silenzioso isolamento. Quest’anno non ha permesso, com’era invece abitudine, che i musulmani celebrassero le feste del Natale insieme ai seguaci della Croce. I battezzati nella Striscia non arrivano a 800 e, soprattutto i più giovani, sognano il giorno in cui potranno fuggire da quello che è il più grande carcere a cielo aperto del mondo.

Anche in Cisgiordania, dove vivono poco più di 45.000 cristiani, la situazione è peggiorata. In teoria, gli “Accordi di Abramo” firmati a settembre alla Casa Bianca tra Emirati Arabi Uniti e Bahrein con Israele supponevano la fine dell’annessione di territori palestinesi. In realtà, il Primo ministro israeliano, Netanyahu, non ha fermato niente e, in particolare, si continua con il progetto di  una rete di strade per collegare gli insediamenti. L’obiettivo è di aumentare la popolazione dei coloni israeliani dal mezzo milione attuale a un milione nei prossimi 20 anni. Né la sconfitta di Trump, né la convocazione di nuove elezioni in Israele, per la quarta volta in due anni, hanno fermato il progetto. L’occupazione toglie futuro ai cristiani.

A partire da gennaio, Biden ha la possibilità di migliorare la situazione dei palestinesi. Può far ripartire gli aiuti che arrivavano dagli Stati Uniti attraverso l’Onu e che sono stati cancellati da Trump. La sua principale sfida, tuttavia, è trovare una proposta di pace che accantoni il balzano “Accordo del Secolo” del Presidente Repubblicano e che attualizzi le formule di 30 anni fa. Non è semplice.

La minoranza cristiana palestinese soffre anche per l’inefficienza, la mancanza di flessibilità e le lotte interne della Autorità Nazionale, i cui leader continuano a rimanere aggrappati a formule ormai vecchie. La geopolitica dei Paesi a maggioranza musulmana, con Arabia Saudita ed Emirati vicini a Israele e Turchia e Qatar dalla parte degli islamisti, è cambiata radicalmente e può, per la prima volta dopo molto tempo, togliere i palestinesi dal centro dello scacchiere.

Nel territorio israeliano, la pressione sui cristiani continua, specialmente a Gerusalemme. L’attacco all’inizio di dicembre di un ultraortodosso ebreo alla Basilica del Getsemani non è un stato caso isolato: gli attentati si ripetono con frequenza. Ci sono anche pressioni perché nella Città Vecchia di Gerusalemme i cristiani vendano le loro proprietà. Per fortuna, sembra che i responsabili della Chiesa ortodossa abbiano reagito e stiano agendo decisamente per impedire che tre immobili situati strategicamente alla porta di Giaffa passino in mano all’organizzazione nazionalista ebrea Ateret Cohanim. A nord, in Galilea, tutto sembra più tranquillo, ma i cristiani arabo-israeliti continuano a essere, come furono sempre, cittadini di seconda categoria.

Se davvero nel 2021 il Covid sarà messo sotto controllo, almeno relativamente, verrà il momento di tornare in Terra Santa: il prossimo anno a Betlemme, a Gerusalemme, a Gerico, a Nazareth.