In paese, se solo avessero potuto, l’avrebbero incatenato nel manicomio: “Costui è tutto matto!” dicevano quando lo incontravano. Il suo menù preferito – “cavallette e miele selvatico” – solo al pensiero faceva vomitare. Per non parlar poi dei vestiti: “Peli di cammello”, con una cintura di pelle a tenerli in ordine!
Fu la parola, però, ad essere per lui salvezza e dannazione: la schernivano ma era temuta, la scansavano ma l’avvertivano addosso, la imbavagliavano senza però riuscire a zittirla. “Guardate l’ingegnere quant’è fulminato” borbottavano tra loro i clienti all’osteria. Lo dicevano perché Giovanni, quando apriva bocca, sembrava parlare un’altra lingua: voleva spianare le vallate, ritoccare le strade, sciacquare il capo dell’uomo con un’acqua stramba.
La cosa strana è che, a sentirlo parlare così, sembrava davvero che le montagne fossero della consistenza del pongo dei bambini, che le strade fossero come la gomma dei giocolieri: sembrava così semplice fare quello che diceva di fare che, siccome era facile, nessuno era in grado di crederci. Perché nessuno l’aveva ancora fatto. Lui, nel frattempo, tirava dritto: “Per veder cose mai viste occorre fare cose mai fatte” diceva ai discepoli che gli andavano dietro. “Fulminati anche quelli che gli dan retta!” chiudevano.
Però, Giovanni, non era affatto pazzo. Oppure, qualora lo fosse stato, era uno di quei pazzi scatenati che sono il vestito in borghese di Dio quando decide di non farsi riconoscere in pubblico. Il folle è così: è esattamente come noi, solo che lui ha deciso di buttare nelle immondizie la maschera. “O salto io o salti tu, non c’è alternativa!” van dicendo da sempre i pazzi-di-Dio. Poi, dopo l’annuncio, si mettono all’opera: il modo migliore per far una cosa, da che mondo è mondo, è quello di farla tu, senza aspettare che qualcun altro la faccia. “O sono matti o io non li scelgo” sembra continui a ripetere Iddio a chi gli contesta la sua mattità nello scegliere preferibilmente i cervelli caldi per le operazioni d’alto ingegno, di ultrafine ingegneria spirituale.
Davvero, dunque, la follia è roba pazza? “Si può essere in disaccordo con essa, glorificarla o denigrarla – recitava, anni fa, una pubblicità di Apple – l’unica cosa che non si può fare è ignorarla, perché cambia le cose. Spinge la razza umana nel futuro”.
Erode, grande pidocchio di Galilea, voleva fare lo sbruffone col matto di Giovanni: neanche con la testa nel vassoio riuscì a zittire la voce dell’uomo matto venuto per salvare i matti dalle mattanze degli uomini. “Io sono voce di uno che grida nel deserto” andava dicendo. Era umilissimo: non diceva d’essere chissà chi, d’esser figlio-di, di spostarsi perché doveva passare lui. Chiedeva di preparare la strada ad un Altro, di iniziare a spianare i caratteri, a smussare le aspettative. Parlava così bene dell’Amico che stava per arrivare che, un bel giorno, in tanti pensavano stesse parlando di sé medesimo. Anche allora gridò a tutti che non era lui, ch’era un altro il Giusto.
Però, Giovanni, era pazzo: così pazzo dell’Amico in arrivo che la sua gioia più grande è stata quella di aprirgli la strada, preparargli il lavoro, di far sì che il mondo non fosse distratto al suo passaggio. I matti, quelli veri, esistono e lui li conosce bene. È per questo che ama passare per matto: per intrufolarsi meglio nei discorsi, perché la gente dica “Tanto è matto, cosa vuoi che capisca” e lui, intanto, coglie piccoli particolari. Perché i matti sani – quelli che paiono svitati, senza la testa attaccata al collo, all’arrembaggio – sono i pezzi migliori per Dio: sono le sue cartucce sul mondo, cartine di tornasole, pirati. I matti non sono i dementi, però: sono intelligenti, pregando in ginocchio si perfezionano nell’arte di diventare matti-così.
Poi vanno nel mondo ad imbastire guerra alla guerra: le ginocchia non le piegheranno di fronte a nessuno. Le scarpe, però, saran pronti a toglierle davanti al Principe di questi matti: “Io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali” (cfr Mc 1,1-8). Questi matti al mondo fanno una paura da matti. È per questo che il mondo dirà sempre che, questi matti, sono tutti matti.