Siamo all’inizio della fine, proclamano i nostri politici e alcuni opinion leader. Si tratta di creare un rapporto emotivo, iniettare ottimismo, tutelare i sentimenti: la fine della corsa deve essere sopportabile. Si lasciano da parte le stime sul tempo necessario per vaccinare la popolazione, lo sviluppo della seconda ondata e le previsioni economiche. Ciò che conta è far nascere un’emotività positiva. È un proposito buono, occorre compensare l’emotività negativa – odio, paura, invidia, risentimento – che domina i social network. Siamo nella democrazia sentimentale, ciò che conta è una realtà percepita: i sentimenti non hanno nulla a che vedere con i fatti e con una realtà che si è offuscata fino a trasformarsi in un pretesto. Noi giornalisti siamo caduti nella stessa trappola: il nostro obiettivo non è più informare ma emozionare.
La pretesa di esercitare una tutela emotiva è una nuova forma di manipolazione che ha a che fare con la dissociazione tra fatti e significato. Il processo è stato accelerato dalla pandemia. Tutti i giorni ci vengono forniti dati sul tasso di incidenza, il tasso di positività o la velocità di propagazione del virus, i nostri occhi vengono riempiti di grafici e statistiche. Spesso il loro significato non è chiaro e quando si chiede l’oggettività dei fatti si risponde con un’alluvione di dati senza contesto e senza relazioni tra di loro. Qualcuno chiama questo “datocentrismo”: la frenesia per l’aggiornamento e la raccolta di parametri, indipendentemente dal fatto che ciò aumenti la comprensione di ciò che si vuole far capire.
Fatti e dati non sono la stessa cosa. Il dato nudo non ha connessioni, non offre vie per addentrarsi nella complessità. Un fatto arriva con la sua narrazione, con un senso possibile. Davanti all’aridità del dato, la realtà e il significato si separano. Accettare una teoria cospirativa, che offre un significato facile da assimilare e che risolve rapidamente l’incertezza, può essere più consolante che cercare il significato dei fatti. Arriva così un momento nel quale la quantità di realtà del significato abbracciato e professato è irrilevante. Può essere consolante pensare che i vaccini siano un’arma segreta di Gates per controllare la popolazione mondiale o che il mondo occidentale stia subendo un’invasione di migranti che vengono per distruggere la nostra cultura. Ma, coscientemente o inconsciamente, chi accetta una spiegazione di questo tipo ha deciso in anticipo che ciò che è importante è la relazione emotiva con il gruppo con cui si sente identificato. I fatti non interessano. Per questo le identità, le appartenenze, sono determinate dall’emotività: dalla necessità di superare l’insicurezza a qualunque costo.
L’epidemiologa Eleanor Murray, dell’Università di Boston, e la virologa Angela Rasmussen, della Columbia University, hanno descritto come, durante la pandemia, la difficoltà di rimanere nella realtà ha prodotto quelle che chiamano le false dicotomie. In un loro articolo hanno indicato che le false dicotomie tra salvare vite e salvare l’economia, tra isolamenti indefiniti e aperture illimitate, mascherine sì e mascherine no (la lista è lunga), offrono una scappatoia di fronte all’inquietante complessità e incertezza. “Non c’è – evidenziano esemplificando – dicotomia tra salute ed economia, perché i due concetti sono legati intimamente. L’economia non può funzionare ininterrottamente se una parte importante di lavoratori soffre di una malattia virale da cui può guarire in settimane o mesi”.
I problemi non hanno una soluzione binaria, ma con gli stessi dati, complessi, i politici e alcuni leader sociali costruiscono messaggi e significati differenti, anche contraddittori. Messaggi che non fanno i conti con il fatto che “l’incertezza e la complessità fanno parte della scienza, della salute pubblica, di molti aspetti della trasmissione dei patogeni, dell’infezione e della malattia”, sottolineano le due specialiste. Di fronte al carattere arduo della verità, trovano grande ascolto quelli che offrono scorciatoie mentali o affettive.
Abbiamo visto politici che, senza scomporsi, hanno sostenuto come progressista un provvedimento e il suo contrario nel giro di poche settimane. Le fedeltà irrazionali sono una trappola. Fidarsi di qualcuno esige più che mai l’uso della capacità critica. L’ultima, o forse la prima, dicotomia, che né Murray né Rasmussen citano, è ciò che separa i dati dal loro significato.
La pandemia si è trasformata in un banco di prova per identificare le giuste relazioni tra i fatti e il loro significato. Qualcosa che sarà decisivo in un mondo sempre più complesso.